laR+ IL COMMENTO

Uno strumento per dare voce a chi voce non ha

Le assemblee di cittadini potrebbero trovare risposte ai problemi che i politici, legati a interessi personali e partitici, non vogliono risolvere

In sintesi:
  • Un sondaggio dell’Onu ha dimostrato che i cittadini vorrebbero vedere i loro governi affrontare con più decisione la crisi climatica
  • L’idea di creare assemblee di cittadini per salvare la Terra sta prendendo piede
  • In molte parti del mondo la politica moderna, sempre più elitaria, esclude i cittadini comuni
Nepal, uno degli ultimi esempi di ribellione popolare
(Keystone)
27 settembre 2025
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In un lungo articolo apparso sulla rivista australiana ‘Aeon’ lo storico belga David Van Reybrouck spiega come la tradizionale diplomazia fra Stati – quella risalente al 17° secolo che pose fine ai lunghi conflitti europei – non sia più in grado di gestire efficacemente problemi transnazionali e globali come gli eventi meteorologici estremi, l’acidificazione degli oceani, l’esaurimento delle risorse idriche, le migrazioni di massa, le pandemie o l’avvento dell’intelligenza artificiale. Van Reybrouck parla della necessità di passare dalla ‘raison d’État’ alla ‘raison de Terre’, anteponendo gli interessi planetari a quelli delle singole nazioni, creando cioè un nuovo tipo di intesa planetaria sul modello dell’Unione europea (delle cui imperfezioni è comunque ben consapevole), più vincolante di quanto non lo siano oggigiorno le Nazioni Unite che funzionano su base volontaria.

Un sondaggio svolto proprio dall’Onu ha dimostrato che nell’86% dei 77 Paesi presi in esame i cittadini vorrebbero vedere i loro governi affrontare con più decisione la crisi climatica. Con i politici legati alle lobby finanziarie e industriali, il volere della popolazione mondiale viene spesso ignorato a favore di interessi di parte. È proprio per questo che, Van Reybrouck spiega, nell’ottobre 2021 si è tenuta la prima Assemblea globale, un’iniziativa informale creata per permettere a cittadini comuni di dire la loro sui cambiamenti climatici. Partendo da 100 punti generati a caso nel mondo, si è dapprima formato un pannello di 675 cittadini, poi ridotti a 100 per ottenere un equilibrio in termini di età, genere, distribuzione geografica, livello di istruzione e atteggiamento nei confronti del cambiamento climatico. Più della metà aveva meno di 35 anni, due terzi vivevano con meno di 10 dollari al giorno, oltre un terzo non aveva mai usato un computer, un terzo non era mai andato a scuola e il 10 per cento non sapeva né leggere né scrivere. Aiutati e sostenuti con mezzi tecnici, materiale informativo e traduzioni, in 11 settimane queste persone hanno trascorso 68 ore online dando vita alla Dichiarazione dei popoli per il futuro sostenibile del pianeta Terra, un appello a “realizzare una Terra florida per tutti gli esseri umani e le altre specie, per tutte le generazioni future”.

L’idea di creare assemblee di cittadini per salvare la Terra sta prendendo piede: in merito si sono recentemente organizzate conferenze e pubblicati saggi. E se queste assemblee venissero impiegate anche per risolvere problemi globali di altro tipo: per appianare conflitti internazionali, oppure per distribuire meglio le risorse o il cibo o perfino i flussi turistici? E se prendessero piede anche a livello statale e/o regionale? Già gli antichi ateniesi conoscevano il principio del sorteggio per assegnare più democraticamente le cariche pubbliche ed evitare che andassero solo ai più ricchi, potenti ed eloquenti. In molte parti del mondo la politica moderna, sempre più elitaria, esclude i cittadini comuni. Il costante senso di ingiustizia e impotenza che si crea può sfociare in due sole reazioni: rassegnazione o ribellione. Com’è avvenuto di recente in Nepal, Indonesia o Francia, dove la frustrazione della gente è sfociata in proteste contro la corruzione, le disuguaglianze, i tagli alla spesa sociale. Le assemblee di cittadini potrebbero trovare risposte ai problemi più impellenti che i politici, legati a interessi personali e a logiche interne ai partiti, non possono e non vogliono risolvere.