I cambiamenti climatici rendono necessario un lavoro di prevenzione e studio per gli effetti di insetti ritenuti innocui alle nostre latitudini
Estati calde come quelle degli anni recenti inducono cambiamenti nella diffusione di zanzare e zecche che divengono più popolose e invadono nuove aree. Una presenza fastidiosa, che percepiamo anche in Ticino, e non senza rischi. Questo perché questi piccoli organismi possono essere portatori di virus e altri patogeni che, al momento di nutrirsi del nostro sangue, sono trasmessi all’essere umano.
Malattie causate da zanzare infette sono ben note in zone tropicali delle Americhe, Asia e Africa. Tra di esse spiccano la febbre dengue, che si stima causare a livello globale oltre 100 milioni di infezioni ogni anno. Incidentalmente, l’anno scorso è avvenuta in Brasile e Paesi limitrofi l’epidemia di febbre dengue più importante mai registrata, con migliaia di decessi. Vi è pure la Zika, che preoccupa principalmente se l’infezione avviene durante la gravidanza: il virus può infatti attraversare la placenta e causare danni anche molto gravi allo sviluppo del feto. Si ricorderanno le immagini di neonati nati con microcefalia (dimensioni del cervello largamente inferiori alla media) durante l’epidemia di Zika del 2015-16 in Sudamerica. Vi sono poi virus trasmessi da zanzare che raggiungono il cervello, come il virus del Nilo occidentale oppure quello dell’encefalite giapponese. Quando ciò accade, si rende necessaria l’ospedalizzazione. Anche se superata, la malattia può causare danni neurologici permanenti. Si tratta quindi di virus che trasmettono malattie importanti e anche letali soprattutto per i più deboli, come le persone anziane, o chi ha il sistema immunitario compromesso a seguito di trattamenti per malattie autoimmuni o tumorali.
In passato, queste malattie erano rare alle nostre latitudini. Venivano essenzialmente importate da vacanzieri di ritorno da lidi esotici. Negli ultimi anni si è invece osservato un netto aumento dei casi anche in persone che non hanno viaggiato al di fuori dell’Europa. Vi sono stati ad esempio focolai importanti di encefalite del Nilo occidentale nell’Italia del nord negli ultimi tre anni, con migliaia di infezioni durante i mesi estivi. Focolai epidemici in Italia, Spagna e Francia si sono anche verificati per febbre dengue e chikungunya, un’altra malattia da zanzare.
“Esistono molti tipi di zanzare, e solo alcune tra esse sono in grado di trasmettere il patogeno che causa la malattia” ci dice Francesco Origgi, direttore dell’Istituto Microbiologia della Supsi. “In Ticino e altre parti d’Europa, viste le condizioni climatiche favorevoli e la tendenza all’aumento delle temperature, si trovano sempre più frequentemente anche quelle zanzare che sono in grado di trasmettere agenti infettivi causa di malattie”. Un’area questa di grande interesse scientifico presso la Supsi, dove si svolgono attività in collaborazione con atenei di punta a livello europeo. Tali attività sono coordinate dai settori Ecologia dei Vettori e Biosicurezza, diretti rispettivamente dalle ricercatrici Eleonora Flacio e Valeria Guidi e coadiuvate da Eva Veronesi. “Tra i nostri compiti vi è la raccolta e catalogazione di informazioni, per capire di quali specie si tratti e se vi siano quelle con potenziale di trasmettere patogeni rischiosi per l’uomo. La peculiarità di virus ad RNA, come appunto il virus del Nilo occidentale o la dengue, di mutare e quindi, in alcuni casi, essere trasmessi anche più efficacemente da alcune specie di zanzara, rappresenta una sfida significativa per la salute pubblica”.
La cattura delle zanzare avviene durante i mesi estivi tramite trappole in varie zone del Cantone. Quindi un’attività di sorveglianza importante. Inoltre, i laboratori sono dotati di aree di sicurezza biologica a elevato contenimento di patogeni (cosiddette ‘Biosafety Level 3’) che permettono di esaminare se le zanzare siano portatrici dei virus indesiderati. “Nel 2022, per la prima volta, abbiamo rilevato la presenza del virus del Nilo occidentale in zanzare raccolte in Ticino, riconfermata anche nel 2023. Ciò purtroppo non sorprende visti i recenti focolai a poche centinaia di chilometri da qui (come ad esempio nell’Italia settentrionale)”.
L’Istituto Microbiologia coordina da anni attività volte a ridurre le densità di zanzara tigre potenzialmente in grado di trasmettere il virus della dengue, e chikungunya. “Stiamo valutando sperimentalmente la possibilità di utilizzare zanzare particolari come i maschi sterili di zanzara tigre, che, inducendo una sterilità nella popolazione di zanzara tigre, ne diminuiscono nel tempo la densità. Un esperimento in tal senso è stato effettuato nel comune di Morcote”. È la prima volta che questo intervento, altamente innovativo, viene svolto in Svizzera, e i risultati dello studio pilota sono molto promettenti. Si stanno ora pianificando studi ulteriori al fine di poter portare questa tecnica a uso dei comuni e dei privati.
L’aumentata presenza di questi virus nelle nostre vicinanze ha destato anche l’attenzione del Servizio Trasfusionale della Croce Rossa della Svizzera italiana, diretto da Stefano Fontana. “Alcuni di questi virus, come quello del Nilo occidentale o della dengue, sono trasmissibili anche tramite la trasfusione di sangue. Il nostro servizio collabora già da tempo con servizi trasfusionali Oltralpe e con le autorità cantonali nell’ambito dell’epidemiologia delle malattie infettive trasmissibili tramite trasfusioni. Quale ente responsabile per l’approvvigionamento di prodotti sanguigni agli ospedali ticinesi, dobbiamo garantire che i nostri prodotti siano sicuri, e che quindi la trasfusione di sangue non causi la trasmissione di infezioni. I prelievi effettuati sui nostri donatori di sangue, distribuiti su tutto il territorio ticinese, offrono poi l’opportunità unica di captare la presenza di una di queste malattie nella nostra popolazione. Diventa sempre più importante capire quale sia il rischio che queste infezioni da zanzare, nuove per le nostre latitudini, comportano tuttora e comporteranno negli anni a venire per le trasfusioni e per la popolazione in generale”.
Grazie a questi interessi convergenti, uno studio pilota – sostenuto dalla Fondazione Fidinam – sarà svolto in questo ambito durante la prossima estate – una nuova collaborazione a favore del nostro territorio tra Servizio Trasfusionale Crs della Svizzera italiana, l’Istituto Microbiologia della Supsi e l’Istituto di Ricerca in Biomedicina.
Per la febbre dengue e la chikungunya sono da pochissimo a disposizione vaccini (quello per dengue è stato omologato recentemente anche in Svizzera) che prevengono o aiutano a ridurre la gravità della malattia. Per altri, come l’encefalite del Nilo occidentale, invece no. È anche per questo che da due anni stiamo lavorando presso l’Irb a uno studio (in collaborazione con ricercatori in Serbia, Repubblica Ceca e Stati Uniti) con l’obiettivo di capire come mai il sistema immunitario di certi individui risponda meglio rispetto ad altri dopo l’infezione con questo virus. Queste informazioni saranno utili per lo sviluppo di vaccini e altre contromisure contro l’encefalite del Nilo occidentale, prevenendo la temuta infezione cerebrale.
Similmente alle zanzare, anche le zecche si stanno diffondendo in nuove regioni. In Svizzera, malattie virali quali la meningoencefalite da zecca erano in passato circoscritte ad alcune aree attorno al Canton Zurigo e nell’Oberland bernese. Invece, da qualche anno a questa parte la malattia si considera endemica in tutta la Svizzera. Questo, si pensa, è come per le zanzare legato ai cambiamenti climatici. Oltre alla meningoencefalite da zecca, questi piccoli organismi possono trasmettere altri patogeni che causano malattie importanti come la borreliosi o malattia di Lyme. Per comprendere meglio questa evoluzione, vale la pena di notare l’importante iniziativa di “citizen science” (cioè un progetto di ricerca che coinvolge i comuni cittadini) in cui è coinvolto il Centro di riferimento svizzero per le malattie trasmesse dalle zecche, diretto da Gilbert Greub e con sede all’Ospedale Universitario di Losanna (Chuv).
Come spiega lo stesso Greub: “Se, dopo una gita, troviamo una zecca ancorata nella pelle, la rimuoviamo, la fissiamo su carta con del nastro adesivo e la inviamo in una busta al nostro Centro di Losanna. Lì verrà effettuata una serie di analisi per determinare se la zecca contenga tracce di borreliosi, del virus della meningoencefalite o di altri agenti patogeni”.
Oltre a inviare la zecca, il citizen scientist indicherà su una mappa dell’applicazione dedicata sul proprio cellulare (app “Zecca”, www.zecke-tique-tick.ch/it) l’esatta provenienza della zecca. Durante lo studio pilota iniziato nel 2018 sono state inviate più di 2’000 zecche da analizzare e si spera che questo numero aumenti significativamente in futuro. Questo aiuterà a mappare meglio la diffusione degli agenti patogeni trasmessi dalle zecche in tutto il Paese. In una fase successiva, si prevede di sviluppare ulteriormente l’applicazione nel campo della telemedicina, prevedendo che il cittadino venga contattato telefonicamente in caso di positività al test delle zecche, venga informato del rischio e riceva la prescrizione di un farmaco approvato (se disponibile) o sperimentale.
Quindi un’ottima opportunità per determinare l’efficacia di nuovi farmaci, ed è anche per questo che l’Irb collabora strettamente con i colleghi di Losanna allo sviluppo clinico di un anticorpo monoclonale contro l’encefalite da zecca. Difatti, malgrado l’esistenza di un efficace vaccino contro questa malattia, la sua assunzione non è molto alta, per cui globalmente si stimano oltre 10mila casi di meningoencefalite ogni anno. Un farmaco assunto rapidamente dopo l’esposizione a una zecca infettata potrebbe prevenire che l’infezione raggiunga il cervello.
In collaborazione con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, affiliato all’USI, nel suo 25º anniversario