La ricerca di base è un investimento a lungo termine essenziale per poter scoprire continuamente soluzioni innovative ed efficaci
La ricerca scientifica detta ‘di base’ si concentra sulla comprensione dei principi fondamentali della natura. Si tratta di un tipo di ricerca guidata dalla curiosità di capire il perché dei fenomeni, senza necessariamente avere come obiettivo primario un’applicazione biomedica immediata. Pur essendo spesso inizialmente slegata da obiettivi pratici dichiarati, questo sforzo costante, continuamente volto a comprendere i meccanismi, è in realtà il vero motore che ha portato a innovazioni biomediche rivoluzionarie. Numerosi esempi storici anche molto recenti ci illustrano come lo studio di organismi e sistemi anche lontani dall’essere umano abbia portato a scoperte di fondamentale importanza, come la tecnologia CRISPR-Cas9, ora alla base delle nuove terapie genetiche, e le applicazioni dell’RNA in ambito medico.
Dr.ssa Silvia Monticelli
Il valore inestimabile della ‘ricerca dei perché’ risiede nella sua capacità di aprire nuove frontiere della conoscenza. Senza di essa, la ricerca applicata, volta invece a sviluppare soluzioni pratiche per problemi specifici, sarebbe necessariamente più limitata nelle sue capacità innovative e basata su fondamenta meno solide. Molte scoperte importanti hanno avuto origine da studi apparentemente distanti dalla medicina. Questo approccio esplorativo consente di accumulare conoscenze che possono poi tradursi in applicazioni concrete nei modi spesso più imprevedibili. Un esempio emblematico è rappresentato dalla scoperta della struttura del DNA nel 1953 da parte di James Watson e Francis Crick. Questo traguardo cruciale, reso possibile anche grazie alle immagini ottenute da Rosalind Franklin mediante la cristallografia a raggi X, è stato il frutto di decenni di ricerca di base in biologia molecolare e chimica, a partire dalla prima scoperta dell’esistenza del DNA all’interno delle cellule da parte del medico e biologo basilese Friedrich Miescher alla fine dell’800. Sebbene inizialmente fosse difficile prevedere le implicazioni pratiche di questa scoperta epocale, essa ha gettato le basi per una serie di innovazioni che spaziano dalla diagnostica molecolare alla produzione di molecole ricombinanti per terapia (per esempio l’insulina) e alle terapie geniche. Basti pensare alla possibilità, oggi concreta, di sequenziare e mappare il genoma umano per comprendere le basi genetiche di tante malattie, qualcosa che sarebbe stato semplicemente impensabile anche solo 50 anni fa. Oggi, con l’aggiunta dell’intelligenza artificiale all’arsenale dei ricercatori, le nostre capacità tecnologiche potranno aumentare in maniera ancora più rapida.
Un esempio classico dell’importanza dello studio di organismi anche molto distanti dall’uomo è rappresentato dalla scoperta della penicillina, che ha rivoluzionato la medicina del XX secolo. Nel 1928, Alexander Fleming osservò casualmente che un fungo del genere Penicillium produceva una sostanza capace di inibire la crescita dei batteri. Questa osservazione nata da studi di base in microbiologia, portò allo sviluppo del primo antibiotico naturale utilizzabile su larga scala contro molte infezioni batteriche. Questa scoperta ha aperto poi la strada alla produzione di molti altri antibiotici che hanno salvato milioni di vite. Venendo a scoperte più recenti, uno degli esempi più straordinari di come la ricerca di base sia in grado di trasformare la medicina è rappresentato dalla tecnologia CRISPR-Cas9, una delle tecniche di modificazione del genoma più potenti e versatili mai sviluppate. Anche i batteri, come noi, devono difendersi dalle infezioni, causate da virus chiamati batteriofagi. La scoperta delle sequenze CRISPR è avvenuta proprio durante studi sui batteri e sui loro meccanismi di difesa contro i batteriofagi. Queste ricerche, inizialmente mosse dalla curiosità di comprendere l’immunità batterica, non avevano fini applicativi. Tuttavia, il lavoro di Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, vincitrici del premio Nobel nel 2020, ha trasformato questo sistema naturale in uno strumento per il taglio preciso del DNA. Oggi, CRISPR-Cas9 è in fase di sperimentazione per correggere mutazioni responsabili di malattie genetiche come la distrofia muscolare di Duchenne. Nel 2023 la prima terapia basata su questa tecnologia è stata approvata per correggere nei pazienti dei difetti genetici alla base dell’anemia falciforme e la beta-talassemia, segnando un traguardo storico per la medicina di precisione. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la curiosità di ricercatori che, decenni prima, studiavano semplicemente come i batteri si difendono dalle infezioni.
Un altro esempio recente del potenziale della ricerca di base è rappresentato dallo sviluppo di vaccini basati sull’RNA messaggero. Si è parlato molto di questa molecola durante la pandemia di COVID-19, ma in realtà questa tecnologia era già da svariati anni oggetto di studio, soprattutto nel campo dell’immunoterapia dei tumori. Ma di cosa si tratta esattamente? Proviamo a pensare al nostro genoma come se fosse un libro di cucina che contiene tutte le “ricette” che ci servono, cioè tutte le istruzioni necessarie a produrre le proteine e le varie componenti del nostro organismo. Avere il libro è essenziale ma non basta, perché i nostri “cuochi” cellulari (i ribosomi) non sanno leggere direttamente il libro ma solo le singole ricette, copiate una alla volta. Queste singole ricette sono proprio gli RNA messaggeri. Gli studi su queste molecole, condotti per decenni senza avere necessariamente come obiettivo una particolare applicazione biomedica, hanno permesso di comprendere come l’RNA potesse essere utilizzato per introdurre nelle cellule umane un messaggio sintetico in grado di far produrre una proteina necessaria a scopi terapeutici. Ricercatori come Katalin Karikó e Drew Weissman (vincitori del premio Nobel nel 2023), hanno lavorato per anni su modifiche chimiche dell’RNA, un progresso essenziale per il suo successivo utilizzo terapeutico o profilattico, come nel caso del COVID-19. Oggi, oltre che per i vaccini contro i virus, l’RNA messaggero è studiato a livello sperimentale per stimolare il sistema immunitario dei pazienti contro alcuni tipi di tumori, come il melanoma. Questa e altre nuove tecnologie straordinarie che abbiamo a disposizione solo da pochi anni ci stanno portando verso una possibilità concreta di poter sviluppare terapie mirate di medicina personalizzata. Un ulteriore esempio moderno dell’impatto della ricerca di base sulla medicina è rappresentato dalle cellule CAR-T. Questa tecnologia si basa sulla modificazione genetica di alcune cellule immunitarie chiamate linfociti T. Le cellule immunitarie del paziente vengono modificate in modo da poter riconoscere specifici bersagli tumorali. Una volta reinfuse nella persona, queste cellule agiscono così come un esercito su misura capace di colpire specificamente il tumore. L’origine delle cellule CAR-T affonda le sue radici in decenni di ricerca di base in immunologia e biologia molecolare. In particolare, la comprensione dei meccanismi che regolano l’attivazione e la funzione delle cellule T è stata cruciale per lo sviluppo di questa terapia. In questo senso, studi pioneristici come quelli dell’immunologo svizzero Rolf Zinkernagel (premio Nobel 1996 insieme a Peter Doherty) hanno potuto gettare le basi per molte delle terapie che sono state sviluppate successivamente. Oggi, le cellule CAR-T sono usate soprattutto contro leucemie e linfomi refrattari, e offrono una speranza a pazienti con tumori difficili da combattere con trattamenti più convenzionali. Ricerche ancora più recenti stanno anche esplorando la possibilità di utilizzare queste cellule nel contesto di alcune malattie autoimmuni, con l’idea di eliminare linfociti anomali che attaccano i tessuti sani – un ambito promettente anche se per ora ancora completamente sperimentale. Anche all’IRB ci sono diversi laboratori che si occupano di studiare i linfociti T e altre cellule del sistema immunitario nel contesto di autoimmunità e tumori. Ad esempio, nel nostro laboratorio di Immunologia Molecolare stiamo studiando come alcune variazioni genetiche, presenti naturalmente nella popolazione, possano influenzare il comportamento dei linfociti T. Analizzando i meccanismi che regolano la risposta infiammatoria, puntiamo a comprendere perché determinati fattori genetici aumentano il rischio di sviluppare alcune malattie autoimmuni.
La ricerca di base è una componente essenziale della biomedicina, capace di generare conoscenze che possono trasformarsi in applicazioni rivoluzionarie. Le difficoltà intrinseche di questo tipo di ricerca sono rappresentate dalle sue numerose incognite, e dai tempi spesso molto lunghi. In laboratorio, i ricercatori formulano ipotesi sulla base dei dati che hanno a disposizione in quel momento, ma è normale che non possano prevedere esattamente dove porterà un progetto, né quanto tempo ci vorrà per completarlo. La strada che si trova davanti ogni ricercatore è lunga e tortuosa, e senza scorciatoie. Questa incertezza a volte può essere frustrante e richiede pazienza e resilienza, ma è anche esattamente ciò che rende il lavoro affascinante. Senza incertezza non si può scoprire niente di nuovo! Gli scienziati che si occupano di ricerca fondamentale sono mossi da una curiosità profonda e dalla consapevolezza che la ‘ricerca dei perché’ è il terreno fertile da cui possono nascere tante innovazioni piccole e grandi. Investire nella ricerca di base significa avere fiducia nella conoscenza e nella sua capacità di migliorare il mondo in cui viviamo.
In collaborazione con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, affiliato all’USI, nel suo 25º anniversario