Scienza e medicina

La memoria del sistema immunitario

La capacità dei linfociti di ‘ricordare’ è la base del funzionamento dei vaccini e uno dei pilastri della medicina preventiva moderna

Vaccinazione praticata da Edward Jenner su suo figlio (incisione a colori di E. Hamman). Nel riquadro il prof. Lanzavecchia e la prof.ssa Sallusto
(Wikipedia)

Immaginate di poter ricordare perfettamente ogni persona che avete mai incontrato, riconoscendola anche a distanza di decenni e reagendo di conseguenza. Questo è esattamente ciò che fa il nostro sistema immunitario attraverso un meccanismo straordinario chiamato memoria immunologica: la capacità di “ricordare” i patogeni precedentemente incontrati e di rispondere più rapidamente ed efficacemente a un eventuale secondo contatto. Si tratta di una delle più eleganti soluzioni evolutive per proteggere il nostro organismo dalle minacce microbiche, un sistema che ci permette di affrontare con maggiore efficacia gli stessi nemici incontrati in passato e alla base del funzionamento dei vaccini.

Le prime osservazioni storiche: da Tucidide a Jenner

La prima descrizione documentata di memoria immunologica risale all’antica Grecia. Durante la grande peste di Atene del 430 a.C., lo storico Tucidide osservò un fenomeno curioso: coloro che erano guariti dalla malattia non si ammalavano una seconda volta, anche quando assistevano i nuovi malati. Tucidide non poteva immaginare i meccanismi molecolari alla base del fenomeno che stava descrivendo, ma la sua acuta osservazione aveva colto una delle caratteristiche fondamentali del sistema immunitario.

Il passo successivo nella comprensione e nell’applicazione della memoria immunologica avvenne nel XVIII secolo con la pratica della variolizzazione. Questa tecnica, sviluppata inizialmente in Cina e nell’Impero Ottomano, consisteva nell’inoculare materiale prelevato dalle pustole di pazienti affetti da vaiolo in forma lieve su persone sane. La vera rivoluzione arrivò però con Edward Jenner nel 1796. Il medico inglese osservò che le mungitrici che contraevano il vaiolo bovino (una forma più lieve) sembravano protette dal vaiolo umano. Jenner inoculò del materiale dal vaiolo bovino nel braccio di James Phipps, un bambino di otto anni e sei settimane dopo, espose deliberatamente il bambino al vaiolo umano: James non si ammalò. Jenner aveva appena dimostrato il principio della vaccinazione cross-protettiva, utilizzando un patogeno correlato ma meno virulento per indurre protezione contro una malattia più grave. Il termine “vaccino” deriva proprio da “vacca”, in onore di questa prima applicazione pratica della memoria immunologica.

Le basi biologiche: linfociti T e B, i guardiani della memoria

Per comprendere come funziona la memoria immunologica, dobbiamo entrare nel mondo microscopico delle cellule del sistema immunitario. I protagonisti principali di questo processo sono due tipi di globuli bianchi: i linfociti T e i linfociti B. I linfociti B sono le “fabbriche” degli anticorpi. Quando incontrano un patogeno per la prima volta, si attivano e si trasformano in plasmacellule, che producono anticorpi specifici contro quel particolare nemico. Gli anticorpi sono proteine a forma di Y che si legano a specifiche porzioni del patogeno (chiamati antigeni), marcandolo per la distruzione o neutralizzandolo direttamente.

I linfociti T hanno funzioni diverse a seconda del loro sottotipo. I linfociti T “helper” coordinano la risposta immunitaria, comunicando con altre cellule e aiutando l’attivazione dei linfociti B. I linfociti T “killer” riconoscono e distruggono direttamente le cellule infette.

Durante la prima esposizione a un patogeno, chiamata risposta primaria, il sistema immunitario impiega diversi giorni per montare una risposta efficace. È in questo periodo che spesso manifesteremo i sintomi della malattia. Tuttavia, una volta sconfitto il patogeno, non tutti i linfociti attivati muoiono: una parte si trasforma in linfociti della memoria. Queste cellule persistono nel nostro organismo per anni, a volte per tutta la vita, rimanendo in uno stato di “allerta”. Quando lo stesso patogeno tenta una seconda invasione, le cellule della memoria lo riconoscono e scatenano una risposta molto più rapida e potente, chiamata risposta secondaria.

Le scoperte all’IRB

Per decenni, gli immunologi hanno considerato le cellule della memoria come un gruppo omogeneo. Tuttavia, alla fine degli anni ’90, le nostre ricerche, iniziate all’Istituto di Immunologia di Basilea e proseguite a Bellinzona, hanno modificato questa visione. Abbiamo dimostrato che i linfociti T della memoria non erano tutti uguali, ma si dividevano in due popolazioni distinte per caratteristiche e funzioni. I linfociti della memoria “centrale” fungono da riserva strategica nei linfonodi, sono caratterizzati da una elevata capacità proliferativa e in grado di generare nuove cellule effettrici quando stimolate. I linfociti della memoria “effettrice” sono invece i soldati di pattuglia che circolano nei tessuti periferici, pronti all’azione immediata ma con una durata di vita più breve. Una volta distinti i due tipi di linfociti, la ricerca si è concentrata nel comprendere i loro ruoli nei meccanismi di difesa, non solo nella protezione dalle infezioni, ma anche nella risposta contro cellule tumorali e nei processi che portano a malattie autoimmuni. Oggi gli studiosi cercano di capire come stimolare queste cellule attraverso la vaccinazione, così da ottenere una protezione più mirata e duratura. Si studia anche il ruolo dei linfociti T della memoria residente nei tessuti, una terza popolazione di cellule della memoria scoperta più di recente.

All’IRB abbiamo poi sviluppato una tecnica innovativa per isolare anticorpi monoclonali umani direttamente dai linfociti B della memoria o dalle plasmacellule. Questa tecnica permette di catturare la memoria anticorpale sviluppata dopo infezioni o vaccinazioni allo scopo di produrre anticorpi terapeutici. Il metodo si è rivelato utile per produrre anticorpi monoclonali contro numerosi virus, come il virus dell’influenza, il virus respiratorio sinciziale (RSV) e il virus dell’Ebola. Durante la pandemia COVID-19, anticorpi monoclonali come il Sotrovimab, scoperto a Bellinzona e sviluppato dalla società Vir Biotechnology in collaborazione con GSK, hanno fornito in tutto il mondo protezione immediata a pazienti ad alto rischio.

L’evoluzione dei vaccini

Il cammino dall’intuizione di Jenner alle moderne biotecnologie rappresenta una delle più affascinanti storie di innovazione medica. I vaccini vivi attenuati, evoluzione diretta dell’approccio di Jenner, contengono versioni indebolite del patogeno che mantengono la capacità di replicarsi ma non di causare malattia. Il vaccino antipolio orale di Albert Sabin distribuito su zollette di zucchero ha permesso campagne di vaccinazione di massa che hanno portato alla quasi eradicazione della poliomielite.

I vaccini inattivati, come quello sviluppato da Jonas Salk contro la polio, utilizzano patogeni uccisi che mantengono la capacità di stimolare il sistema immunitario. I vaccini a subunità rappresentano una evoluzione ulteriore, contenendo solo le parti essenziali del patogeno. Il vaccino contro l’epatite B, sviluppato negli anni ’80, fu uno dei primi successi di questa tecnologia.

Gli ultimi decenni hanno assistito a una vera rivoluzione biotecnologica. Le piattaforme a mRNA e i vettori virali, come quelli sviluppati per il COVID-19, trasformano le nostre cellule in “fabbriche” temporanee di antigeni e hanno scritto un nuovo capitolo nella storia dei vaccini.

Sfide attuali e prospettive

Nonostante i progressi straordinari, persistono sfide significative. Alcuni patogeni, come l’HIV e il virus dell’influenza, mutano rapidamente, sfuggendo all’azione protettiva delle cellule della memoria immunologica. I ricercatori stanno identificando regioni conservate dei virus che non mutano facilmente, puntando a indurre immunità contro questi bersagli stabili. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale potrebbe accelerare lo sviluppo di questi nuovi vaccini “universali” capaci di proteggere contro virus in continua evoluzione.

Tra le sfide più impegnative c’è quella di comprendere come cambia il sistema immunitario nelle diverse fasi della vita. Nei bambini molto piccoli, il sistema immunitario è ancora immaturo e ciò comporta difficoltà particolari. Comprendere meglio come si sviluppa la memoria immunologica nei primi anni di vita è quindi essenziale per ideare strategie vaccinali efficaci contro virus che causano infezioni gravi proprio in questa fascia di età, come il virus RSV. All’opposto, nell’età avanzata, il fenomeno dell’immunosenescenza riduce l’efficienza delle risposte immunitarie. I ricercatori dell’IRB, insieme a ricercatori dello IOR e del Politecnico Federale di Zurigo, stanno affrontando insieme questo problema, che fa parte di un ampio progetto di ricerca, NCCR Aging, attualmente valutato dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica. Una comprensione più approfondita delle strategie ottimali per stimolare il sistema immunitario degli anziani, indebolito dall’età, avrebbe un impatto enorme non solo sull’ottimizzazione dei vaccini esistenti, ma anche per lo sviluppo di vaccini contro patogeni che causano infezioni gravi nella terza età (tra cui lo Stafilococco e la Klebsiella), nonché nello sviluppo di vaccini terapeutici antitumorali.

Un futuro di protezione personalizzata

Il viaggio dalla prima osservazione di Tucidide alle scoperte dell’era moderna rappresenta una delle più grandi conquiste della medicina. La pandemia COVID-19 ha dimostrato quanto rapidamente la scienza possa rispondere alle emergenze sanitarie quando dispone di una solida base di conoscenze sul sistema immunitario. Guardando al futuro, la memoria immunologica continuerà a essere al centro degli sforzi per combattere malattie infettive emergenti, sviluppare terapie contro il cancro e comprendere le malattie autoimmuni. Ogni nuova scoperta in questo campo non solo arricchisce la nostra comprensione della biologia umana, ma rafforza le basi su cui costruire una medicina del domani più efficace e personalizzata.

*ricercatrice e direttrice del laboratorio di Immunologia Cellulare, IRB

**direttore fondatore dell’IRB dal 2000 al 2020

In collaborazione con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, affiliato all’USI, nel suo 25º anniversario