ALPINISMO

L'amica si ferisce a settemila metri, alpinista muore per salvarla

Aveva 49 anni, era esperto di alta montagna ed è rimasto ucciso da un edema cerebrale mentre assisteva la collega russa, che è ancora bloccata in quota

Lo Jengish Chokusu, colosso mortale tra Kirghizistan e Cina
(Maryliflower [CC BY-SA 4.0])
21 agosto 2025
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È morto a settemila metri di quota, tra i picchi del Kirghizistan, mentre cercava di salvare una compagna di cordata gravemente infortunata. Quella dello Jengish Chokusu, montagna di 7'439 metri al confine con la Cina, nota un tempo col nome russo di Pik Pobedy, è l'ultima impresa di Luca Sinigaglia, un milanese di 49 anni, esperto di alta montagna, vittima di una tragedia il giorno di Ferragosto, ucciso in quota – a quanto sembra – da un edema cerebrale causato aggravato dal congelamento. La donna, l'alpinista russa Natalia Nagovitsyna (47 anni), sarebbe ancora viva ma è bloccata ormai da quasi 10 giorni a 7.150 metri di quota, senza radio, con una gamba rotta e poco cibo. Secondo quanto riporta la giornalista Anna Piunova, direttrice del sito mountain.ru, che dai suoi social sta seguendo giorno per giorno la vicenda, le operazioni per recuperarla sarebbero tuttora in corso.

Ripresa dal portale ‘Lo Scarpone’, la notizia della morte di Sinigaglia arriva dai media kirghizi e dal canale Telegram russo Mash. Stando a quanto diffuso dalle fonti locali, l'alpinista russa si sarebbe rotta una gamba il 12 agosto, mentre insieme a Sinigaglia e ad altri due alpinisti, un russo e un tedesco, discendeva il Jengish Chokusu. Il giorno successivo i suoi compagni erano riusciti a portarle una tenda, un sacco a pelo e alcuni beni di prima necessità. È stato proprio durante i tentativi di portare soccorso alla collega che Sinigaglia sarebbe morto. Sabato 16 agosto un elicottero Mi-8 della Difesa kirghisa era anche decollato per tentare un salvataggio, ma a causa delle condizioni meteo estreme era stato costretto a un atterraggio di fortuna alla quota di 4.600 metri. Feriti nello schianto, i soccorritori sono stati trasferiti con un secondo elicottero all'ospedale di Karakol, ma nessuno di loro sarebbe in pericolo di vita.

Sul Pik Pobedy mai un ferito è stato salvato a quella quota

Resta così intrappolata in quota la scalatrice russa, che il 19 agosto era stata raggiunta da un drone che ha accertato che era ancora in vita. Secondo Anna Piunova, un team di ricerca composto da quattro persone ha raggiunto in giornata quota 5'800 m e grazie a previsioni del tempo favorevoli punta a salire per domani a quota 6'400. È una corsa contro il tempo. Sempre secondo la giornalista, mai un alpinista ferito è stato salvato a questa quota sul Pik Pobedy.

Natalia Nagovitsyna, ricorda l'articolo su ‘Lo Scarpone’ – il portale del Club Alpino italiano – nel 2021 aveva visto morire sotto i suoi occhi suo marito a quota 7.010 metri, sul Khan Tengri, colpito da un ictus fatale, rimanendo al suo fianco fino all'ultimo nonostante i soccorritori le chiedessero di scendere. È stato in quella occasione che aveva incontrato Luca Sinigaglia. Lo racconta al quotidiano La Repubblica sua sorella Patrizia: «Si erano conosciuti quattro anni fa in Kazakistan – afferma – Lei era con il marito, Sergej, e Luca li ha incontrati durante la scalata: li ha visti in difficoltà e quindi non ha proseguito l'ascesa, ma si è fermato per aiutarli. È riuscito a riportare al campo base solo Natalia, mentre suo marito purtroppo non ce l'ha fatta. Da allora si sentivano spesso e ogni tanto si mettevano d'accordo per incontrarsi su qualche vetta in giro per il mondo».

Neanche questa volta avrebbe voluto lasciarla indietro. Ma se per Natalia si può ancora sperare, di Sinigaglia si potrà al massimo recuperare il corpo, che si trova in una caverna di ghiaccio a 6.900 metri. Scapolo e senza figli, lavorava nel campo della cybersicurezza, e i viaggi avventurosi erano la sua passione. «Ha compiuto un atto di grande coraggio – dice ancora sua sorella Patrizia –. Siamo disperati, ma possiamo aggrapparci a questa consapevolezza:: lui non avrebbe mai lasciato indietro nessuno». E sui social c'è già chi lo chiama eroe.