Raffaella Masciadri, un’icona del cestismo italiano ‘migrata’ sul manto erboso per fare da Team Manager alle bianconere Viola Calligaris e Alisha Lehmann
Parlando di basket coniugato al femminile, guardando alla realtà della vicina Italia, non si può non menzionare Raffaella Masciadri, cestista che ha scritto alcune delle pagine più importanti della pallacanestro azzurra, tra le primissime italiane a varcare l’Atlantico per giocare nella prestigiosa Wnba (l’equivalente, al femminile, della Nba), sponda Los Angeles Sparks. Capitano della Nazionale italiana di lungo corso, l’oggi 44enne lombarda (di Meda) può vantare uno dei palmarès più importanti, se non il più prestigioso in assoluto, tra le sue colleghe azzurre, in cui fanno tra gli altri bella mostra di sé 15 titoli italiani, una Coppa Italia e una Coppa europea, nonché un oro e un argento ai Giochi del Mediterraneo (rispettivamente Pescara 2009 e Tunisi 2001) e un argento alle Universiadi di Taegu nel 2003, conquistati con la selezione azzurra. Insomma, una sorta di icona della palla a spicchi che, a dispetto di un pedigree stracolmo di allori e riconoscimenti, si dimostra persona molto disponibile e alla mano. Che anche da… cestista pensionata (dal 2019) e nel frattempo migrata dai parquet ai campi da calcio – da settembre 2022 ha assunto il ruolo di Team Manager della Juventus femminile – non disdegna di tornare al suo ‘vecchio amore’: la palla a spicchi. L’abbiamo appunto incontrata in occasione dei Mondiali Fimba che negli scorsi giorni hanno tenuto banco un po’ in tutto il Ticino, impegnata con la over 45 italiana, prendendo… la palla al balzo per una lunga chiacchierata. Cominciando proprio dalla sua avventura nordamericana: «È ovviamente stata una grandissima opportunità per me, un’esperienza pazzesca, che nemmeno mi sarei immaginata potesse realizzarsi quando ho cominciato a giocare a basket – racconta Raffaella con gli occhi ancora luccicanti ripensando a quegli anni a stelle e strisce –. Non sono stata la primissima italiana a calcare la scena della Wnba, visto che prima di me avevano già tentato l’avventura dall’altra parte dell’Oceano Atlantico altre due cestiste italiane: Catarina Pollini e Susanna Bonfiglio. Ma, appunto, loro due restavano delle eccezioni…». Finché… «Finché è appunto arrivata questa chiamata, per certi versi sorprendente ma che ho preso come la ciliegina sulla torta della mia carriera. Una chiamata che, a ben guardare, è sopraggiunta anche al momento giusto, perché arrivata quando avevo 24 anni e dunque ero nel pieno della maturazione sportiva. Il fatto di potermi confrontare con quelle che a tutti gli effetti erano e sono le migliori giocatrici al mondo è stata un’esperienza che mi ha aiutato e non poco anche nel prosieguo della mia carriera, quando sono rientrata in Italia». Facciamo ancora un passo indietro: al basket come ci sei arrivata? «La mia famiglia è sempre stata sportivamente attiva, per cui anche io fin da bambina mi tenevo in forma correndo o nuotando. Fino a 10 anni ho praticato l’atletica leggera, poi ho provato a giocare a basket, favorita anche dal fatto che già mio padre ci giocava a livello locale, trasmettendomi questa sua passione. Ed è stato amore a prima vista: quel parquet non l’ho più lasciato».
In Italia, Raffaella Masciadri è stata una delle colonne portanti della Comense degli anni d’oro, quello squadrone capace di collezionare uno scudetto dopo l’altro negli anni Novanta. Fino al patatrac che ha portato la società sull’orlo del fallimento. «Ora, fortunatamente, si inizia a vedere un po’ di luce in fondo a quel tunnel buio pesto in cui la società si era infilata nel 2012, grazie alla cordata che ha deciso di rilanciare le attività di questo glorioso club, pur sotto un’altra ragione sociale».
Guardando alla tua lunga carriera, qual è stato il momento più emozionante? «Di momenti memorabili, che meritano un posto tutto loro nell’album dei ricordi, ce ne sono fortunatamente stati parecchi. Fra questi non posso non citare l’esordio nella Nazionale maggiore: quel giorno è stato, come se si chiudesse il cerchio aperto anni prima con le prime selezioni con le rappresentative giovanili, il suggello di un lungo percorso. E, ovviamente, anche i titoli vinti con le società, e in particolare il mio primo vinto con la Comense e, in seguito, con Schio».
Cosa vuol dire essere capitano della Nazionale? «È un bell’onore ma anche una bella responsabilità, perché oltre a rappresentare il tuo Paese, rappresenti anche i tuoi compagni di squadra e lo staff. Al di là di tutto, personalmente questo ruolo l’ho sempre vissuto senza troppe ansie, in maniera serena, cercando di interpretare al meglio il ruolo di fungere da punto di riferimento per le mie compagne, sia in campo sia fuori dal parquet, che mi era stato affidato. Anche perché a me le responsabilità sono sempre piaciute».
Classe 1980, Raffaella Masciadri ha lasciato il basket d’alto livello alla soglia dei quarant’anni: qual è il segreto di tanta… longevità sportiva sul parquet? «Ho avuto la fortuna di non subire infortuni seri, e questo mi ha dato la possibilità di giocare fino a 39 anni. A quel punto però non basta la passione: senti che il corpo non riesce più a reggere quei ritmi. Io ho appunto sentito che era arrivato il momento giusto per dire basta e concentrarmi su altre cose: sulla famiglia, gli amici e il dopo carriera sportiva. Anche se poi… beh, quando ci sono appuntamenti come il Mondiale Fimba, una capatina sul parquet me la faccio comunque! È la seconda volta che partecipo a questo evento, e questo è un gruppo che ritrovo ogni volta volentieri: ci conosciamo dai tempi delle Nazionali giovanili, o nella Comense o con Schio, e ritrovarci in questi contesti risveglia parecchi ricordi ingialliti dal tempo. Amicizie strette anni e anni fa che si rinnovano in occasioni come queste. A radunare il gruppo siamo stati in particolare io e l’allenatore: quando ho fatto le mie chiamate, non ho nemmeno fatto a tempo a finire la frase che dall’altro capo del telefono era già arrivato il sì…».
Dal basket al calcio: come ci sei arrivata al ruolo di Team Manager della Juventus femminile? «Anche questa è un’opportunità che è nata un po’ per caso. Dopo anni e anni trascorsi nella mia zona di comfort, avevo voglia di provare un’esperienza differente e rimettermi in gioco nella stessa veste – perché in fondo negli ultimi anni ho fatto da Team Manager nel mondo del basket – ma in un contesto diverso: quello del calcio. Per me è una bellissima esperienza, tanto a livello personale quanto sul piano formativo e professionale». Anche qui, non senza qualche ambizione: «Mi piacerebbe ottenere la patente da direttore sportivo».
A Torino, pensando agli Europei che si stanno giocando in questi giorni, con la maglia bianconera ci sono anche due elementi della selezione rossocrociata di Pia Sundhage: Viola Calligaris e Alisha Lehmann… «Viola e Alisha sono due giocatrici e due persone fantastiche, che mi rendono anche la vita facile, visto che con loro posso parlare italiano. A entrambe vadano i miei migliori auguri per disputare un Europeo soddisfacente».