Domenica l’esordio dello sloveno alla Parigi-Roubaix. Il favorito d’obbligo rimane Mathieu van der Poel, vincitore nelle ultime due edizioni
Le porte dell’Inferno si spalancheranno domenica mattina alle 11.25 precise. E inghiottiranno i 175 ciclisti schierati al via da Compiègne per la 122ª edizione della Parigi-Roubaix, l’ultima corsa anacronistica sopravvissuta nel calendario internazionale e alla quale nessuno sarebbe disposto a rinunciare, nonostante l’insensatezza di una competizione fuori dal tempo, certamente adatta ai pionieri delle due ruote, ma poco consona al ciclismo moderno. Centocinquantanove chilometri e duecento metri di pura follia, 55,3 dei quali lastricati in un pavé che gli “Amici della Roubaix”, in un perenne gioco di equilibrismo, preservano dall’avanzamento dell’asfalto, senza peraltro cancellare le difficoltà di un acciottolato che ha fatto (e fa) la storia della Regina delle classiche.
Quest’anno, i sei milioni di pavé sui quali transiterà la corsa, vivranno forse un momento storico: quello dell’esordio di Tadej Pogacar, il cannibale del ventunesimo secolo, reduce dal trionfo nella Ronde van Vlaanderen e primo vincitore del Tour de France dopo Greg LeMond (1991) a cimentarsi l’anno successivo sulle strade dell’Inferno. E nonostante sia all’esordio e il suo fisico non appaia tagliato per dominare 55 km di pietre, lo sloveno fa parte del ristrettissimo novero dei favoriti. Novero che, a dire il vero, presenta soltanto due nomi: Pogacar e Mathieu van der Poel, vale a dire coloro i quali si sono spartiti gli ultimi sei Monumenti. In stagione, l’olandese ha aperto le danze a Sanremo, lo sloveno ha risposto domenica scorsa al Fiandre.
La Roubaix è una corsa strana, nella quale a fianco delle qualità tattiche, tecniche e fisiche, occorre una buona dose di fortuna. Cadute e forature sono all’ordine del giorno e basta un tubolare che cede in uno dei passaggi topici della gara (ad esempio l’Arenberg, ma più ancora il Carrefour de l’Arbre) per gettare alle ortiche una giornata di fatica infernale, con il volto ridotto a una maschera di fango in caso di brutto tempo, o con i polmoni arsi dalla polvere se la meteo è stata “clemente”. Ciò nonostante, è lecito aspettarsi che alla fine siano i due super favoriti a giocarsi la vittoria nel velodromo di Roubaix: Pogacar ha già dimostrato in innumerevoli occasioni di essere in grado di sovvertire le leggi del buonsenso, mentre Van der Poel è pur sempre il doppio campione uscente. «Sarà una corsa completamente diversa, che di certo mi si addice meno rispetto al Fiandre. Ma sono pronto per la sfida. Con lo stato di forma in cui mi trovo al momento, devo provarci», ha affermato il campione del mondo in carica.
La dirigenza dell’Uae Emirates è sempre stata reticente all’idea di esporre il suo pupillo ai rischi dell’Inferno del Nord. Una caduta in uno dei 30 settori di pavé metterebbe a repentaglio l’obiettivo principale della stagione, vale a dire la vittoria del Tour de France. Nonostante sia conscio dei rischi, Pogacar ha deciso di provarci. Il campione del mondo ha ammesso che la Regina delle classiche è «certamente pericolosa», ma ha voluto mettere le cose nella giusta prospettiva: «Puoi rischiare la stagione o il resto della carriera a Roubaix, ma non mi sembra più pericoloso di un arrivo in volata nelle tappe iniziali del Tour de France».
Come è giusto che sia, Pogacar è andato settimana scorsa a visionare alcuni passaggi del percorso e in tre settori di pavé ha stabilito il record di velocità. Tuttavia, questo non basta a fare di lui il favorito assoluto: tre settori possono essere tanti, trenta rappresentano una forma di masochismo alla quale non tutti sono preparati. Inoltre, un conto è far velocità in un allenamento con la squadra, altro è gettarsi a capofitto nella Foresta dell’Arenberg a 60 km/h in mezzo ad altri 170 ciclisti, con quale unica protezione la speranza che chi pedala davanti a te riesca a uscire indenne dal budello, senza innescare una caduta rovinosa e alla quale non sarebbe possibile sottrarsi.
Dovesse riuscirgli il miracolo, Pogacar entrerebbe di diritto nel ristretto club (11 nomi) di chi ha centrato la doppietta Fiandre-Roubaix, tra i quali figura ovviamente anche Fabian Cancellara (2010 e 2013). Se invece, a confermare la sua superiorità dovesse essere Van der Poel, il nipotino di Raymond Poulidor salirebbe a quota tre vittorie, come altri sette grandi del passato (tra i quali Cancellara). Tuttavia, soltanto Octave Lapize (1909, 1910, 1911) e Francesco Moser (1978, 1979, 1980) hanno messo sul tavolo un tris consecutivo.
Finora abbiamo parlato esclusivamente dei due grandi favoriti, ma in un raid nel quale la sfortuna sa come metterci lo zampino, altri nomi entrano in linea di conto per la vittoria. Primo fra tutti quello di Wout van Aert, secondo nel 2022 e terzo nel 2023, apparso in buone condizioni al Faindre (4°). Poi occhio al compagno di squadra di VDP, Jasper Philipsen, secondo nelle ultime due edizioni, così come a Mads Pedersen, terzo nell’ultima edizione e a Filippo Ganna, la cui struttura fisica è senz’altro adatta alle pietre dell’Inferno. Sul fronte degli elvetici, tre saranno i nomi al via e su tutti spicca quello di Stefan Küng, terzo nel 2022 e quinto negli ultimi due anni. Con lui partiranno Silvan Dillier, ultimo superstite della fuga mattutina e battuto solo da Sagan nel 2018 (dovrà coprire le spalle a Van der Poel) e Stefan Bissegger.
Due parole anche sul percorso. Due i tratti di pavé nuovi (Artres, due stelle su cinque, e Famars, tre stelle). La novità più importante è rappresentata da quattro curve a 90 gradi inserite nella Trouée d’Arenberg, in modo da diminuire la velocità e cercare di evitare incidenti. Sostituiranno la chicane in entrata testata un anno fa. A quel punto mancheranno ancora 95 km all’arrivo, ma la Foresta darà la prima setacciata al gruppo: non decreterà il vincitore, bensì chi la gara l’avrà già persa. Poi, attesissimi come sempre i settori di Mons-en-Pélève e del Carrefour de l’Arbre, posti rispettivamente a 49 e a 17 km dal velodromo di Roubaix.