Domenica il bernese sarà al via della Liegi. In carriera i risultati migliori sono arrivati in autunno, nella prima parte della stagione fa sempre fatica
Con la Doyenne, la più vecchia di tutte le classiche (la prima edizione risale al 1892 e fu vinta, come le successive due, dal belga Léon Houa) si conclude domenica la prima parte della stagione ciclistica. Dopo la Liegi-Bastogne-Liegi, il calendario delle classiche e delle brevi corse a tappe lascerà spazio ai grandi giri, cominciando da un Tour de Romandie breve per durata, ma importante per prestigio e storia. TdR al quale faranno seguito Giro d’Italia, Tour de Suisse, Tour de France e Vuelta a España, prima di ritrovare nel Giro di Lombardia l’ultimo Monumento stagionale, quando le foglie già inizieranno a cadere.
Il percorso della Liegi-Bastogne-Liegi, con le sue undici côte, si adatta alle caratteristiche di attaccante di Marc Hirschi. Ma il ciclista bernese raramente raggiunge la sua forma migliore in questo periodo dell'anno. Anche se, a ben guardare, è l’ultimo svizzero a essere salito sul podio di Liegi (a quei tempi l’arrivo veniva ancora giudicato ad Ans), con il secondo posto del 2020, battuto soltanto dallo sloveno Primoz Roglic.
Il bernese non ha iniziato la campagna delle Ardenne nelle migliori condizioni. «Non sono nella forma della mia vita. Ho sofferto al Giro dei Paesi Baschi», ha dichiarato dieci giorni fa.
Il ciclista bernese sperava di poter approfittare di una settimana di allenamento per tornare in forma. Ma non è ancora successo. All'Amstel Gold Race di domenica, non è riuscito a rimanere con i corridori più forti a 40 km dall'arrivo. Mercoledì, a differenza dei suoi connazionali Jan Christen e Mauro Schmid, non ha brillato nemmeno nella Freccia Vallone, gara che peraltro si era aggiudicato nel 2020, quando poi aveva sfiorato quella doppietta Freccia-Liegi centrata nel 1951 e nel 1952 da Ferdy Kübler.
Hirschi non nasconde di avere spesso difficoltà a dare il massimo in primavera. «Sì, è vero, ho scoperto che in questo periodo dell'anno è un po' più difficile per me». L'anno scorso, a parte il 2° posto all'Amstel, i risultati più convincenti sono arrivati alla fine dell'estate e in autunno, con diversi successi tra cui la Clásica San Sebastián. Si è inoltre classificato 6° ai Mondiali di Zurigo.
A conferma della sua predilezione per i mesi autunnali ci sono proprio i risultati ottenuti nel 2020, quando sia la Freccia, sia la Liegi erano state spostate in autunno a causa della pandemia. Inoltre, il 26enne bernese aveva vinto anche una tappa del Tour de France – pure quello disputato in settembre – e si era messo al collo la medaglia di bronzo nella prova in linea ai Mondiali di Imola.
«Come corridore, sono ancora lo stesso», afferma. A limitare i suoi risultati è stata la necessità di lavorare per Tadej Pogacar a partire dal 2021, quando si era unito alla Uae Emirates. In inverno è però passato alla Tudor, ciò che gli ha tolto dalle spalle il peso di gregario di lusso. Adesso, con Julian Alaphilippe è il leader indiscusso della compagine di Fabian Cancellara. «Per me è un grande onore avere la squadra dietro di me. Ma sono anche felice di condividere la responsabilità con Julian».
Nel 2020, i due erano stati protagonisti, proprio sulle strade della Liegi, di un episodio che potrebbe aver lasciato un po’ di ruggine. In quell’occasione, infatti, Hirschi aveva perso la corsa per un’improvvisa deviazione di Alaphilippe dalla linea assunta nello sprint… «Sono cose passate. Julian era venuto da me subito dopo l’arrivo e si era scusato. Ne abbiamo parlato anche in seguito, ma non c’è alcun problema tra di noi». Ed è meglio che così sia, perché domenica la collaborazione tra i due sarà essenziale per cercare di ottenere il miglior risultato possibile.
Il trasferimento alla Tudor, una squadra che non fa (ancora) parte del World Tour, non ha avuto conseguenze negative sulla sua preparazione. «Al contrario. Sono tornato dal mio vecchio allenatore Sebastian Deckert. In termini di gestione dell'allenamento e di infrastrutture, non c’è alcuna differenza evidente», conclude.