Dopo le prime cinque gare stagionali, proviamo a tracciare un bilancio di quanto sta avvenendo nel Circus, fra sorprese, conferme e interrogativi
Esistono diversi scenari di dominio in Formula Uno. Solitamente si tratta di un one man show, come nel caso Michael Schumacher-Ferrari, Max Verstappen-Red Bull e Lewis Hamilton-Mercedes. Quest’ultimo contiene però anche l’eccezione alla regola, visto che nell’era del dominio del motore turbo-ibrido Mercedes, la casa della stella ha conquistato un titolo anche con colui che gerarchicamente aveva il ruolo di seconda guida, ovvero Nico Rosberg. Accadde nel 2016, tagliando in parti non uguali il filotto di sei titoli vinti in sette anni da Hamilton tra il 2014 e il 2020.
Oggi il dominio McLaren, pronosticato alla vigilia e confermato nelle prime cinque gare del Mondiale 2025, assomiglia molto a quel 2016, specialmente per quanto riguarda l’intercambiabilità dei piloti al vertice. Lando Norris oppure Oscar Piastri? Le tanto chiacchierate papaya rules, che non prevedono ordini di scuderia, sono già state disattese lo scorso anno mentre Lando Norris cullava il sogno di rimonta su Verstappen, e pertanto è lecito chiedersi fino a quando rimarranno in vigore senza che si finisca con lo sconfinare nell’autolesionismo. Inizialmente avrebbe dovuto essere il principio dell’era di Lando Norris, come annunciato dal Ceo Zak Brown dopo la vittoria dell’inglese in Australia. Solo che a Norris continua a mancare l’istinto killer del vero predatore di pista, del fuoriclasse che non cede centimetri di asfalto o millesimi al cronometro nemmeno sotto tortura. Un atteggiamento di fragilità mentale ammesso dal diretto interessato ed emerso con prepotenza nei momenti di maggiore stress, come il tentato sorpasso a Suzuka su Verstappen nell’erba all’uscita dei box, l’errato posizionamento in griglia a Sakhir, frutto di una qualifica non esemplare (sesto posto), o il botto contro il muro nel Q3 di Gedda.
Dall’altra parte invece c’è Piastri, glaciale, impassibile a qualsiasi cosa accada, negativa o positiva: un’uscita di pista sul bagnato in Australia che gli toglie il podio; la McLaren che non autorizza il sorpasso sul compagno a Suzuka nonostante un passo superiore; il mettere in cascina un flag to flag sul circuito di casa (la McLaren è 100% di proprietà del fondo sovrano del Bahrain Mumtalakat Holding Company) ma tutt’altro che amico; mettere l’auto davanti a quella di Verstappen nella prima curva di Gedda causando la penalità dell’olandese.
Norris e Piastri sono simili a livello prestazionale ma opposti sotto il profilo caratteriale e comunicativo. Il primo lamenta che l’auto è complicata da condurre, mentre il secondo ribatte che è un piacere guidarla. Il primo ammette direttamente il proprio stato confusionale in certi momenti, il secondo dichiara spavaldo di non temere rivali. L’inglese sembra soffrire i giochetti psicologici degli altri piloti, da Russell che paragona il gap McLaren-resto del Circus a quello degli anni d’oro Red Bull, a Verstappen che si racconta imprendibile per tutti se guidasse una orange papaya, mentre l’australiano nemmeno perde tempo a rispondere. Proprio tra le pieghe di questa rivalità atipica e dissimulata possono nascondersi potenziali crepe di un progetto perfetto, estremizzato rispetto allo scorso anno – già vincente a livello Costruttori –, ma con l’aspetto tecnico sempre sotto il pieno controllo del team a ogni livello. Il direttore tecnico della Mercedes James Allison ha detto che, aerodinamica a parte, il grande punto di forza della Mcl39 è la capacità di tenere sotto controllo la temperatura degli pneumatici posteriori: «Ma nessuno sa come fanno, altrimenti lo avrebbero già copiato, no?». Tecnica a parte, arriverà un momento in cui la McLaren dovrà fare una scelta ‘umana’, tra Norris e Piastri, e non sarà indolore. Ma forse sarebbe pure peggio continuare a procrastinarla nei mesi a venire. Perché nel citato 2016 la Mercedes veniva da due titoli piloti consecutivi e possedeva un vantaggio tale da potersi permettere di rendere di pubblico dominio una battaglia fratricida e guardare come andava a finire. La McLaren, che non vince un Mondiale dal 2008, questa opzione non la possiede.
Non c’è nulla che faccia meno notizia di portare sul podio una macchina da podio. E quello di passare sottotraccia è un po’ lo stile di George Russell, che merita di essere considerato la vera rivelazione di questo primo scorcio di stagione. Sempre consistente, solido ed efficace, tanto quanto è misurato nel rapporto coi media e col team. Russell è uscito indenne dal confronto con Hamilton negli anni passati e, una volta diventato prima guida Mercedes, si è imposto come leader silenzioso ma tosto. Non l’ha turbato venire affiancato da una potenziale stella futura come Andrea Kimi Antonelli, il cui approccio in Formula 1 è stato notevolissimo (38 punti nelle prime 5 gare), considerato che due anni fa girava ancora in F4, né si è scomposto di fronte alle schermaglie con Verstappen sul finire della passata stagione. In sintesi: dopo tre anni di macchine sbagliate o difficili da interpretare, la Mercedes W16 si sta dimostrando la seconda migliore auto del lotto e, come logica conseguenza, Russell finisce puntuale sul podio, mettendoci tantissimo del suo.
Stesso discorso per Verstappen, in un contesto però totalmente diverso, con una Red Bull in palese difficoltà progettuale, incapace di staccarsi dall’idea di anteporre il carico aerodinamico all’equilibrio necessario per proporre una monoposto guidabile, come già chiesto lo scorso anno da Max, proponendo una vettura veloce ma anche bizzosa, difficile da bilanciare e da domare, specialmente in contesti ad alte temperature e alto degrado di gomme. Come Sakhir, dove la Rb-21 è andata in apnea, mentre tra Giappone e Arabia Saudita l’olandese ha cavato dal cilindro due prestazioni da master class, e la sensazione è che anche in Arabia Saudita sarebbe riuscito a tenere testa alle McLaren se avesse subito ridato la penalizzazione a Piastri dopo il taglio della chicane di curva 1 che gli è costato 5 secondi di penalizzazione. Verstappen ha solo 2 punti in meno di Norris ma un vantaggio psicologico enorme, mentre con Piastri, come detto, sembra tutta un’altra storia.
Le grane però rimangono in casa Red Bull. L’olandese si sta spazientendo per la discontinuità della monoposto, e la furibonda riunione tra il suo manager ed Helmut Marko in Bahrain ha mostrato come la situazione rimanga tesa. La risposta Red Bull per ora è stata quella di cambiare il secondo pilota, da Liam Lawson a Yuki Tsunoda, per uno switch non gradito da Verstappen (pur se i primi punticini il giapponese è comunque riuscito a portarli a casa), scontento di una politica tesa alla ricerca di un capro espiatorio per mascherare i difetti della vettura.
In un panorama dove dominano le motorizzate Mercedes, con qualche sprazzo Red Bull, ai piani alti latita clamorosamente la Ferrari. La Sf-25 non è una macchina nata dall’evoluzione della Sf-24, terminata seconda nei Costruttori, ma ripensata in molte sue componenti, partendo dal cambio radicale di filosofia della sospensione anteriore. Ne è uscita una monoposto con evidenti limiti tecnico-strutturali, riassunta laconicamente da Charles Leclerc dopo il Bahrain con un: «Non siamo abbastanza veloci». Nonostante i primi aggiornamenti portati proprio nei Paesi arabi abbiano prodotto progressi, rimane enorme il gap tra le aspettative generate nell’ipermediatico pre-season e i risultati in pista. Un solo podio nei primi 5 Gp, la figuraccia della doppia squalifica in Cina per violazioni tecniche (mai nella storia due Rosse erano state squalificate nella stessa gara), il brodino della vittoria nella sprint race cinese di Hamilton. Proprio l’inglese è finora risultato essere l’anello debole del team, sempre battuto a livello di prestazioni – sprint cinese a parte – da un Charles Leclerc nuovamente alle prese con quel miscuglio tra orgoglio (per riuscire a estrarre il meglio da una monoposto limitata) e frustrazione (a causa appunto dei citati limiti) che ne ha caratterizzato le ultime stagioni. Non ci sta a fare da comprimario a Hamilton e lo sta dimostrando, con gare anche sontuose come quella in Arabia Saudita, dove finalmente è riuscito ad avere la meglio sulla Mercedes di Russell. Il problema per lui sembra essere che, finora, un ruolo da comprimario spetti proprio alla Sf-25.
Per sorridere in casa Ferrari bisogna spostarsi su un team cliente, la Haas, poco appariscente ma tantissimo consistente con entrambi i piloti, Esteban Ocon e Oliver Bearman, per due volte a punti insieme. Un esordio da incubo in Australia, l’ultimo posto in griglia di Bearman in Bahrain (poi finito a punti), eppure la grande capacità di risolvere i problemi e superare i propri limiti, con poche chiacchiere e tanto lavoro. Il licenziamento di Gunther Steiner a inizio 2024, sostituito dal suo vice Ayao Komatsu, sembrava un salto nel buio per la scuderia di Kannapolis; invece, sono arrivati il 7° posto nel 2024 e il 6° attuale, che certificano la Haas quale miglior team di quelli delle terre di mezzo assieme alla Williams, uscita dai test prestagionali con l’etichetta di rilevazione della fascia media, ruolo finora confermato più da Alexander Albon che da Carlos Sainz. La Haas è comunque davanti alla disastrosa Aston Martin di ‘Paperone’ Stroll, alla Alpine del re delle piste (pur se controverso) Flavio Briatore, a una Vcarb in formato cicala (grandi promesse nelle qualifiche, resa deludente in gara) e alla Sauber.
Quest’ultima fanalino di coda, come nella passata stagione, anche se i punti raccolti sono già di più (6 contro 4), grazie all’exploit di Nico Hulkenberg in Australia. Ma la traversata nel deserto della scuderia di Hinwil che la porterà a diventare Audi nel 2026 appare tutt’altro che conclusa, con grossi problemi di aerodinamica, soprattutto in scia alle altre monoposto, che costringono a «lottare per tenere l’auto in pista», (Gabriel Bortoleto dixit). I piccoli progressi fatti in qualifica, rispetto allo scorso anno, finiscono così azzerati alla domenica.