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Piastri - Norris rivalità d’altri tempi

La lotta fratricida fra l’australiano e l’inglese ricorda storiche sfide tra piloti dello stesso team, in cui spesso di mezzo c’era proprio la McLaren

In sintesi:
  • Il tamponamento fra compagni di squadra verificatosi domenica in Canada ha riportato alla memoria antiche e celebri rivalità all'interno dello stesso team
  • Casi famosi sono quelli verificatisi fra Prost e Lauda, fra Alonso e Hamilton, oppure fra Brabham e Hulme o ancora fra Vettel e Webber
  • Piastri e Norris, al contrario di quanto avvenne nei casi citati, sono quasi coetanei, e dunque viene a mancare il fattore intergenerazionale tipico di quanto verificatosi in passato
17 giugno 2025
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Era solo questione di tempo, e si è dovuto attendere fino alla gara numero 10, in Canada, per osservare il primo, vero scontro ravvicinato tra Oscar Piastri e Lando Norris. Un’incidente la cui dinamica ha ricordato quello di 14 anni fa – sempre in Canada e con protagoniste le due McLaren – tra Jenson Button e Lewis Hamilton. Allora toccò a Hammer raccogliere i cocci, mentre domenica è stato il turno di Norris, ritirato quando era in quinta posizione.

Un tamponamento che avrebbe potuto avere conseguenze peggiori per il team di Woking, che avrebbe potuto totalizzare uno zero nella casella Costruttori. La monoposto di Piastri, invece, non ha riportato danni sensibili. Tuttavia l’incidente (definito inaccettabile dal team manager Andrea Stella) non pare destinato a lasciare strascichi, dal momento che Norris si è subito assunto la colpa, ma attenzione ai potenziali strascichi lasciati in una rivalità sottotraccia ma comunque presente. I punti che separano Piastri da Norris sono saliti a 22, con il terzo incomodo Max Verstappen in risalita ma ancora lontano 43 punti dalla vetta.

Ancora non c’è stata una scelta

Nonostante il mezzo passo falso di Montreal, dove per la prima volta in stagione una McLaren non è finita a podio, il Mondiale Piloti rimane per ora un affare interno al team orange, che per ora continua nella sua scelta di non decidere su quale pilota puntare. Non è nemmeno facile. Piastri e Norris presentano parecchi punti di forza ma anche qualche debolezza.

Nel caso dell’australiano si nota una certa mancanza di continuità nell’offrire prestazioni sempre di altissimo livello (a Imola si è fatto infilare da Verstappen al Tamburello, in Canada si è fatto sopravanzare da Antonelli alla partenza), anche se rispetto al 2024 il miglioramento è evidente. Per l’inglese invece emerge la tendenza a sbagliare (ripetutamente) sotto pressione, effetto di un problema psicologico ammesso dal diretto interessato e che rappresenta una singolare eccezione, molto umana, in uno sport caratterizzato da campioni simili a delle macchine per efficienza, efficacia e precisione scientifica delle performance.

La rivalità Norris-Piastri rappresenta un unicum per il tentativo di conciliare la sfida sportiva, che rappresenta il cuore di ogni competizione, all’esigenza del mantenimento di un equilibrio ambientale costruito con certosina pazienza e frutto di un’organizzazione quasi olistica del team, dove le gerarchie non sono certo scomparse, ma in cui da una struttura piramidale si è passati a una sorta di ziggurat le cui varie sezioni risultano legate da un continuo flusso di informazioni.

Un ecosistema nel quale anche il livello più alto, ovvero quello rappresentato dai piloti, è in qualche modo spinto a conformarsi alle esigenze ultime del team, mettendo il proprio ego – che in un pilota di Formula 1 non può non essere presente e ben sviluppato, pur con diverse variabili e sfaccettature – al servizio del sistema piuttosto che viceversa.

Precedenti illustri

Non è la prima volta che un Mondiale Piloti se lo contendono due compagni di squadra. È accaduto in altre dieci occasioni, non considerando le annate nelle quali, a fronte di monoposto dominanti, le gerarchie e i rapporti di forza erano talmente definiti da rendere impossibile parlare di reale competizione. Si pensi a Max Verstappen e Sergio Perez in Red Bull, a Lewis Hamilton e Vallteri Bottas in Mercedes, a Michael Schumacher e Rubens Barrichello in Ferrari, oppure ancora a Nigel Mansell e Riccardo Patrese in Williams.

Nessuna scuderia come la McLaren ha conosciuto onori e oneri delle sfide fratricide. Cominciarono nel 1984 sulle monoposto in carbonio progettate da John Barnard, con il veterano Niki Lauda che si impose di mezzo punto sul giovane Alain Prost, meno tattico ma molto più veloce dell’austriaco, che con il senno di poi finì però beffato a Montecarlo quando la gara fu stoppata in anticipo per problemi di sicurezza e lui, vincitore, si ritrovò con i punti dimezzati.

Tra i due il rapporto rimase tuttavia sempre nella norma, niente a che vedere con la guerra fredda combattuta fra Prost e Ayrton Senna nel biennio 1988-89 culminata con il contatto nel penultimo Gp dell’89 a Suzuka con la toccata in curva 1 che eliminò Prost e indusse Senna a un furibondo recupero, per poi essere squalificato dalla Fia per il taglio di percorso durante il riavvio. Mondiale a Prost (tra le polemiche), che pareggiava quello vinto dal brasiliano l’anno prima sull’imprendibile MP4/4, con le McLaren prime in 15 delle 16 gare del Mondiale.

In quegli anni però il team di Woking era talmente forte da potersi permettere due galli nel pollaio, cosa che invece risultò deleteria nel 2007, quando la convivenza tra il bicampione in carica Fernando Alonso e l’astro nascente Lewis Hamilton si fece subito complicata per le prestazioni sensazionali, e senza alcun timore riverenziale, del giovane inglese.

Tra dispetti, ripicche e pubbliche accuse (Alonso sostenne che, in quanto pilota inglese, il box McLaren favorisse Hamilton), il Mondiale finì così al ferrarista Kimi Raikkonen, sceso in pista all’ultima tappa in Brasile con 7 punti di ritardo dal leader Hamilton e terminato primo un punto sopra la coppia. Uno scenario che nessuno in McLaren intende più rivivere.

Giovani contro anziani

Norris e Piastri sfuggono però all’assimilazione con categorie del passato. Tralasciando i due casi di rivalità interne finite nel dramma con la morte in pista di un pilota (Wolfgang Von Tripps nel 1961 nel duello con Phil Hill su Ferrari, Ronnie Peterson nel 1978 contro Mario Andretti su Lotus), tra i due McLaren non ci sono, per ragioni anagrafiche, le dinamiche veterano-giovane talento che hanno caratterizzato alcune sfide interne alle scuderie, come le già citate Lauda-Prost e Alonso-Hamilton, oppure quella tra Jack Brabham e Danny Hulme nel 1967 su Brabham, col neozelandese che si impose sul suo caposquadra, campione del mondo l’anno prima, in una stagione priva di tensioni ma anche di sorrisi, visto il carattere ombroso e perennemente accigliato dei due protagonisti (Hulme era soprannominato The Bear, l’Orso).

O ancora quella del 1996 tra il 37enne Damon Hill e il campione di IndyCar Jacques Villeneuve su Williams FW18, con il primo che riuscì a contenere l’esuberante ma leale compagno di squadra e chiudere la carriera con il titolo. Una Williams che già nove anni prima, nel 1987, aveva provato l’ebbrezza di dominare il campionato lasciando i propri piloti liberi di sfidarsi, con Nelson Piquet che, a dispetto di un bruttissimo incidente a San Marino dal quale uscì vivo per miracolo, riuscì a imporsi su un Mansell costretto a saltare il finale di stagione per infortunio.

Nemmeno i due più recenti duelli mondiali tra compagni possono essere assimilati al match Norris-Piastri. Anche perché volarono scintille che i due papaya non hanno mai prodotto, se non in maniera edulcorata come il sorpasso di Piastri su Norris alla Roggia che scombussolò la gara dell’inglese (ma non si stavano giocando il titolo tra loro) oppure la scia che l’australiano non ha concesso a Norris quest’anno nelle qualifiche del Gp di Spagna, omaggiando il compagno con un ‘cheeky’ (sfacciato) e togliendosi subito dal rettilineo per negargli la pole.

Poi è arrivato il crash in Canada, che però non è paragonabile a quanto accaduto nel 2010 quando i piloti Mark Webber e Sebastian Vettel fecero harakiri in Turchia scontrandosi in gara, con il tedesco ritirato e l’australiano poi ripartito ma che vide sfumare la vittoria. Successo che alla fine andò a Vettel al termine di una drammatica gara ad Abu Dhabi griffata da un capolavoro tattico della Red Bull, che sacrificò Webber con un pit-stop per indurre la Ferrari di Alonso all’errore e sbancò il tavolo con il giovane tedesco.

Hamilton e Rosberg

Webber, oggi agente di Piastri, ha dichiarato di aver imparato molto da quell’annata, ed è facile ipotizzare che il cinismo e la freddezza di Piastri derivino anche dagli insegnamenti di un pilota che da leader del Mondiale si era ritrovato, a suo dire, seconda guida per la scelta del team di valorizzare il prodotto della propria Academy.

Nel 2016 invece, il turboibrido Mercedes era talmente superiore alla concorrenza da non ammettere alcuna interferenza esterna, e quindi da sopportare anche l’eliminazione reciproca dei suoi due piloti Hamilton e Nico Rosberg i quali, al Gp di Spagna, partirono insieme dalla prima fila e a curva 1 finirono, nuovamente insieme, nella ghiaia dopo un contatto. Rosberg approfittò della brutta partenza nel Mondiale di Hamilton per tenergli testa fino alla fine. Ci riuscì e poi, sfibrato da mesi di guerriglia psicologica, cinque giorni dopo la vittoria del titolo annunciò il proprio ritiro.

Tra il 2016 e oggi, l’unica somiglianza riguarda il dominio del team di vertice. La McLaren risulta ancora una spanna sopra a tutti, forte di una monoposto priva di quelle lacune che invece, a turno, caratterizzano i progetti di Mercedes, Ferrari e Red Bull, citate in ordine di graduatoria nella classifica Costruttori. Un dominio che consente al team arancione di non scegliere, o quanto meno di tardare il più possibile una decisione che sarà comunque dolorosa, visto il sostanziale livellamento dei suoi due piloti, nella speranza nemmeno troppo nascosta che sia la pista a decidere per loro. Con o senza scintille.