Il tecnico che regalò ai britannici la loro prima Coppa dei campioni, prima di passare al football a tempo pieno, scavò carbone fino a 28 anni
In un’epoca in cui gli squadroni europei tendono ad affidare le loro panchine ad allenatori sbarbatelli privi della necessaria gavetta ma già provvisti di (immeritate) stimmate – dapprima coprendoli di fantastiliardi ma poi congedandoli in men che non si dica perché si piazzano decimi in campionato o magari si fanno eliminare da squadrette di terza o quarta lega –, mi ritrovo sempre più spesso a pensare ai tecnici del tempo che fu, capaci davvero di rivoluzionare il gioco e di marcare a fuoco un’intera epoca, naturalmente senza metterla mai giù troppo dura.
Fra questi c’è Jock Stein, del quale proprio oggi cade il quarantesimo anniversario della morte, una dipartita triste e romanzesca di cui più avanti racconterò i dettagli. Nato realmente povero nel 1922 nel Lanarkshire, plaga scozzese dipendente dall’estrazione del carbone, dopo una scolarizzazione men che basilare per guadagnarsi il pane scese giovanissimo in miniera, dai cui cunicoli emergeva soltanto a fine giornata per dare due calci al pallone. L’unico modo per vedere un po’ di mondo – visto che si era in guerra – sarebbe stato partire per il fronte, ma i minatori non venivano quasi mai arruolati, perché restandosene a casa svolgevano un lavoro d’importanza vitale per l’economia bellica.
Col pallone fra i piedi, John detto Jock era così bravo che presto venne ingaggiato da squadre di seconda e prima divisione – Albion Rovers e Dundee United –, ma i tempi erano molto diversi da quelli odierni, soldi ne giravano davvero pochini, tanto che il ragazzo continuò a spaccarsi la schiena nelle insalubri gallerie minerarie finché non ebbe compiuto 28 anni, quando cioè i gallesi del Llanelli gli fecero la classica offerta che non si può rifiutare: 12 (dodici) sterline alla settimana. Quella vetrina internazionale gli consentì di essere notato dal Celtic, che lo fece rimpatriare dopo un solo anno e lo destinò alla squadra riserve, nella quale giocò però pochissimo, dato che presto divenne titolare inamovibile e idolo dei tifosi biancoverdi. Centromediano di limitata tecnica ma di indubbia prestanza fisica, col suo perfetto tempismo e il suo invidiabile senso della posizione regalò al Celtic un titolo nazionale che mancava da una vita e smise di giocare soltanto quando, 33enne, i Rangers gli spezzarono una caviglia nel corso di un Old Firm, il celeberrimo derby di Glasgow.
Diventa allenatore, allena per cinque stagioni le riserve del suo club del cuore, ma quando si tratta di sostituire sulla panca della prima squadra il vecchio Jimmy McGrory, i dirigenti gli preferiscono un altro tecnico. E così – offeso – se ne va al Dunfermline, alla guida del quale conquista una Coppa di Scozia battendo in finale proprio il Celtic, che a questo punto lo rivorrebbe, ma lui ha già firmato per l’Hibernians, e così l’affare va in porto solo qualche mese più tardi. Quando finalmente rimette piede al Celtic Park, dà inizio alla sua straordinaria carriera, un’avventura che già al suo primo anno completo su quella leggendaria panchina lo vede vincere il campionato scozzese, mentre la stagione successiva – col suo calcio iperoffensivo che nelle Isole britanniche è clamorosamente rivoluzionario – battendo in finale l’Inter conquista addirittura la Coppa dei campioni, come nessuna squadra d’Oltremanica era mai riuscita a fare. La cosa ha davvero del portentoso, se pensiamo che tutti i giocatori di quella formazione – in cui spiccavano Jimmy Johnstone e Billy McNeill – erano nati in un raggio inferiore a 50 km da Glasgow.
Nel 1978, col palmarès arricchito all’inverosimile, accetta di guidare la Nazionale scozzese, che porta ai Mondiali del 1982 e che, per l’edizione successiva, conduce fino all’ultimo turno di qualificazione contro il Galles, appunto il 10 settembre 1985. L’1-1 strappato a Cardiff su rigore all’80’ regala alla Tartan Army lo spareggio (poi vinto) contro l’Australia. Ma l’emozione, per Jock Stein, si rivela troppo forte: qualche secondo dopo il triplice fischio, infatti, si accascia al suolo, ucciso da un infarto mentre intorno a lui tutti festeggiano. A guidare nel Mundiale messicano gli scozzesi sarà dunque nientemeno che Alex Ferguson, che di Stein era il vice e che – ancora oggi –con riconoscenza definisce Jock come un uomo dentro cui albergava un’intera università.