La Corte europea dei diritti dell’uomo dà torto al nostro Paese, per violazione della sfera privata e per aver discriminato l’atleta iperandrogina
La Corte europea dei diritti dell’uomo bacchetta la Svizzera, rea di aver discriminato Caster Semenya, dopo che il Tribunale federale nel 2020 aveva dato ragione a una prima sentenza del Tribunale arbitrale dello sport, che ha sede a Losanna, e che imponeva all’ormai trentaquattrenne atleta sudafricana di diminuire il suo livello (naturale) di testosterone nel suo sangue. Infatti, i giudici di Mon Repos ritenevano che il regolamento contestato fosse una misura appropriata e necessaria per raggiungere gli obiettivi legittimi di correttezza sportiva. Una cosa, però, che Semenya ha sempre contestato, e ha deciso di denunciare il regolamento della Federatletica internazionale (oggi denominata World Athletics) che le imponeva di ridurre il livello di testosterone per partecipare alle competizioni internazionali nella categoria femminile. Una battaglia, quella avviata dalla sudafricana, che dura ormai da più di dieci anni; nel aprile del 2018 World Athletics aveva definito una soglia massima di testosterone per gareggiare tra le donne sulle distanze che vanno dai 400 metri ai 1’500 m, compresa quindi la prova degli 800 metri in cui Semenya eccelle.
L’atleta africana aveva deciso di portare la questione fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel luglio del 2023 le aveva già dato ragione una prima volta. A quel punto – sostenuto da World Athletics – è stato il nostro Paese ad appellarsi a Strasburgo, ma la massima camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso di dare ragione alla Semenya, indicando che nel suo caso la Svizzera non soltanto ha discriminato la mezzofondista, ma ne ha anche violato la sfera privata, spiegando che le decisioni prese hanno l’effetto di rendere pubblico lo status degli atleti afflitti da iperandroginia. Ora toccherà al Consiglio federale prendere posizione sulla decisione della Cedu, spiegando come intende reagire alla bacchettata della Corte di con sede a Strasburgo, che di per sé non ha il potere di interferire con le leggi adottate ad esempio dai singoli Stati, ma è innegabile che la decisione rilancerà a livello planetario il dibattito su una questione che da anni tiene banco nel mondo dello sport.