In un contesto denotato da una deriva nazionalista, un gruppo di donne, con passione e convinzione, promuove i valori di condivisione e fratellanza

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
La Georgia è un Paese multilingue e multiculturale, che però sta vivendo una deriva nazionalista. Oltretutto, il 20% del suo territorio è occupato dall’esercito della Federazione russa, mentre nella capitale Tbilisi arrivano a frotte cittadini russi che scappano da un’altra guerra, e si rifugiano in Georgia in cerca di pace e affari... Nonostante tutto, o forse proprio per questo, c’è chi non ha mai smesso di lavorare per la pace e il pluralismo, venendo anche a formarsi in Svizzera nella mediazione interculturale: incontriamo una decina di donne attive nella promozione dei diritti umani e nello sviluppo di piccole imprese sociali.
Attraversare la Georgia può dare alcuni sottili piaceri per nostalgici viaggiatori di altri tempi o per moderni urbex in cerca di reperti sovietici. Per le strade si respira odore di aneto, si incontrano vecchie Lada, si può parlare russo, sobbalzare su bus sgangherati con la musica altissima, farsi trattare male dai camerieri, visitare splendide città termali abbandonate, esplorare fabbriche arrugginite e incontrare l’unica statua di Josif Stalin ufficiale del pianeta. Eppure, c’è molto altro: una nuova Georgia che vale la pena di scoprire e lasciare emergere. Un luogo, in parte già attuale, in parte ancora nei sogni, che mi raccontano dieci donne che hanno deciso di piantare alberi.
© S.R.GUrbanistica a GoriDa Kutaisi a Gori, nel cuore del Paese, guida Shako, ragazzone pimpante ex giocatore di rugby; annuncia subito che il giorno prima ha bevuto “a dismisura” con i suoi amici: fa il cognac in casa, lui stesso, buonissimo, me ne regala una bottiglia. Si parte. Shako è tranquillo e si ferma solo ogni tanto per fumare. Mi dice che i turisti nel suo Paese possono essere divisi in due categorie: quelli ai quali interessano solo festa e donne (o i focosi uomini georgiani, sogghigna compiaciuto) e i turisti che cercano anche un po’ di arte e di storia. Provo a fargli qualche domanda sul governo attuale, Georgian Dream, un regime autoritario, nazionalista e alleato di Putin, nonostante la guerra con la Federazione russa del 2008. Shako sorride: «Io sono giovane, non faccio mica politica! Alla politica ci penserò poi dopo i 40 anni! Per ora mi basta uscire con gli amici, bere il mio cognac, avere qualche soldo in tasca...». Stranamente, non parla inglese (non aveva voglia di impegnarsi a scuola), ma mastica un po’ di russo (a casa sua i genitori parlano 70% georgiano e 30% russo, mi spiega, qualsiasi cosa questo voglia dire).
© S.R.GUn altro murale a GoriSto andando a conoscere un gruppo di donne che vivono vicino all’Ossezia (uno dei territori contestati dalla Russia). Ci troviamo a casa di Nino, sulla collina vicino a Gori dove si coltiva la vigna e si fa il vino da oltre 8’000 anni.
© S.R.GNino LotishviliNino Lotishvili, 43 anni, si è laureata in Lingua e cultura italiana a Tbilisi, ha lavorato un po’ nel turismo, poi si è iscritta all’Usi di Lugano a un Master in Public Management and Policy. «Sono stata accolta dalla meravigliosa famiglia Ferretti di Mendrisio, con la quale sono diventata amica. La tesi che ho scritto parla del ruolo delle famiglie miste di origini ossetine e georgiane nel processo di riconciliazione e pace. Poi ho lavorato all’Onu, prima di fondare l’Ong ManaTheia Peace Hub con la quale oggi mi occupo di promozione della pace e multiculturalità: in questo l’esperienza svizzera mi ha aiutata molto». Non era sua intenzione lavorare solo con donne, ma quando ti metti a parlare di guerra, spiega Nino, sono loro che si mobilitano. «La gente va educata alla pace. I bambini vanno d’accordo senza badare alla provenienza dei loro genitori; frequentano le stesse scuole, giocano con gli stessi giochi; se non permettiamo che si fissino sulle differenze, sono tutti potenziali mediatori», mi spiega Nino.
© S.R.GTavolata di Nino con donne ossetineLa questione dell’Ossezia è complicata. Territori, imperi, etnie, villaggi mescolati. Il Caucaso è un territorio montagnoso pieno di lingue e popoli diversi che lo abitano, da millenni. Vi sono passati l’Impero ottomano, quello zarista, l’Unione sovietica. Nel 1992 la Georgia è diventata un Paese a sé stante, mentre le regioni di Abcazia e Ossezia, che avevano chiesto l’indipendenza, sono contese da Georgia e Federazione russa, che sostiene le spinte separatiste e dal 2008 occupa entrambe le regioni. Ci sono state migliaia di morti, di sfollati, e le ferite sono aperte.
© S.R.GI muri di Gori sono istoriati di murales«Come ricercatrice nei processi di pace, lavoro con le famiglie di origine mista, georgiana e ossetina, perché sono vittime da ambo le parti», racconta Nino. «Inoltre conoscono entrambe le culture, quindi sono potenziali portatrici di pace. Per questo vado con loro nelle scuole a parlare di pace. Tuttavia hanno vissuto un trauma e noi viviamo in un Paese che non si prende carico di questi traumi. La vita qui è difficile: economicamente, socialmente, a livello pratico. C’è molto da fare. Le donne, poi, sono anche schiacciate da un forte patriarcato. Bisogna quindi guarire le ferite e costruire qualcosa di bello intorno a sé».
© S.R.GUna signora sulla porta che dà sulla strada, a GoriIl giorno in cui vado a trovarle, le dieci donne del progetto di ManaTheia Peace Hub imparano a fare il pane con il lievito madre, preparano una sostanza biologica da spalmare sulla vigna per evitare i pesticidi chimici e cucinano un banchetto esclusivamente con i loro prodotti. Durante la cena, a turno, mi raccontano il loro percorso.
Inizia Nana, una donna di una quarantina di anni, cresciuta in una famiglia di ingegneri: «Non ero mai stata personalmente responsabile di qualche cosa. Aiutavo e basta. Poi un giorno ho deciso di fare il miele. Per hobby, per piacere, ma anche per un motivo più profondo: sentirmi viva. Volevo fare una cosa io da sola, sbagliare e pagarne le conseguenze. Però, invece che sbagliare, credo mi sia riuscita una cosa buona. Al momento giusto, ho incontrato Nino, che con i suoi seminari mi ha aiutata a crescere, a fidarmi e a trovare la forza giusta. Ho capito che bisogna sempre fare un passo avanti rispetto a dove si è. E non ho più paura di farlo, quel passo, perché ovunque mi porti so che troverò qualcosa di interessante». Nana adesso ha un sogno, che vorrebbe realizzare: «Allestire una casa con oggetti della nostra cultura. Cerco e scovo cose belle, come questa tovaglia tradizionale. Ci sono in giro utensili di cucina e attrezzi di artigianato che la gente di qui non apprezza, che vorrebbe buttare e cambiare; io li raccolgo, in qualche modo li accarezzo e li tengo da parte. Sono sicura che un giorno verranno a visitarli, i turisti, ma anche i miei compaesani, perché tutti abbiamo bisogno di un’identità».
Il discorso del turismo “diverso”, quello che si interessa anche di arte e di storia, come direbbe Shako, è molto presente nella tavolata di Nino. Lei stessa da qualche anno ha cominciato a fare il vino, con le anfore tradizionali dei suoi nonni. Un vino biologico, senza solfiti, in un Paese dove ancora quasi nessuno fa la raccolta differenziata. Per accompagnare le sue degustazioni, Nino usa i prodotti delle stesse donne formate dalla sua Ong, che diventano microimprenditrici: frutta secca, pane di semi, prodotti dell’orto. Recuperano ricette della loro regione, fanno intercultura impastando farina, sale ed erbe. E intanto valorizzano se stesse e la propria terra, dando senso alla vita e curandosi l’anima. «Visto che, al momento, a causa dei checkpoint è difficile raggiungere i villaggi di queste donne e gustare direttamente là i loro prodotti, l’idea della nostra impresa sociale Atena Winera consiste anche nell’offrirli ai viaggiatori che ci fanno visita».
© S.R.GManager del Museo di StalinNoi siamo abituati a questo tipo di microimprenditorialità. Quante persone conosciamo che fanno il proprio vino, birra o cognac, i saponi con la lavanda di casa, i cosmetici naturali, le candele o piccoli prodotti di artigianato da vendere ai mercatini? Ma qui è diverso. Qui si è appena usciti – si fa per dire – da un’economia comunista, senza iniziativa privata e con pianificazione su larghissima scala. Quando l’Urss è implosa ci si è ritrovati nel nulla. In questi decenni lo svuotamento di senso ha lasciato spazio a una corsa al sogno facile: arricchirsi, preoccuparsi del proprio benessere fisico, darsi a feste sfrenate. Le città sono invase da saloni di bellezza, fast food e i bambini vanno in giro con gli occhi incollati al cellulare. Senza parlare ovviamente di chi invece è troppo impegnato a sopravvivere.
Tuttavia, piano piano si fa largo anche qualche timido esperimento di costruire qualcosa di piccolo, intimo, alternativo, pieno di personalità e di rispetto per l’ambiente. Ristoranti familiari con musica a basso volume e prodotti tipici, boutique hotel con tocchi di eleganza locale e la rete di offerta turistica di Nino e le sue signore: una ha cominciato a piantare una varietà endemica di grano, un’altra ha abbellito il proprio giardino con fiori e poi ha continuato per tutta la strada, una terza si è inventata due tipi di formaggi che ora sono venduti in qualche negozio.
© S.R.GLibreria a GoriLa vita nella capitale è molto diversa anche se da Gori ci si arriva in un paio di ore di treno. Tbilisi è una città splendida, che attira visitatori da tutto il mondo e che guarda all’Europa. Lì erano attive da decenni associazioni umanitarie che lavoravano sulla multiculturalità, sui diritti delle donne e sulla costruzione di una cittadinanza attiva.
© S.R.GMedea TurashviliMedea Turashvili è consulente per differenti Ong, si è formata al Politecnico di Zurigo con un Master in Mediazione nei processi di pace. «La Svizzera ha una lunga tradizione di gestione dei pluralismi, perciò in Paesi come il nostro la prendiamo a modello e veniamo a studiare da voi. Adesso però mi chiedo come io possa usare il mio diploma. Dall’anno scorso il nostro governo ha promulgato una legge “contro le ingerenze straniere” che di fatto blocca tutti i fondi internazionali che venivano impiegati a scopi umanitari. Hanno chiuso quasi tutti i progetti che riguardavano i temi sociali e di diritti umani». Senza contare il fatto che in tutto il mondo si sta soffrendo dei tagli voluti da Trump al settore umanitario...
© S.R.GCaffè cotto nella sabbia al mercato di KutaisiDall’inizio della guerra con l’Ucraina, migliaia di immigrati russi sono arrivate a Tbilisi. C’è chi scappa dal servizio militare e chi dalle sanzioni, e spesso si tratta di persone abbienti. I prezzi e gli affitti sono saliti parecchio, a discapito della popolazione locale. Questi rifugiati commerciano, comprano, si installano a lungo termine. «Psicologicamente per noi è difficile», spiega Medea. «Vediamo gli ucraini che scappano dalle bombe e per loro non c’è posto. L’economia è migliorata, dobbiamo ammetterlo, però non ci piace il modo in cui questo avviene: abbiamo combattuto contro l’imperialismo russo per duecento anni e adesso stiamo subendo un’altra, subdola, invasione. Il nostro governo è pro russo, anche per necessità: compriamo il gas dal nostro grande vicino, che non esita a lasciarci al freddo se disapprova la nostra politica. Prima parlavamo di un 20% del territorio georgiano occupato; ora siamo alla totalità».
© S.R.GUrbanistica a TbilisiDa mesi, Medea va a dimostrare davanti al governo, insieme ai suoi amici e colleghi, tutti i giorni alla stessa ora. Erano educatori di pace, oggi sono attivisti politici. «Non penso che abbiamo altra scelta che diventare un movimento politico, così abbiamo fondato The Movement for Social Democracy: forse ci vorrà molto tempo per farci conoscere, per ottenere consensi e fiducia, ma dobbiamo lavorare sul lungo termine. Siamo di sinistra, difendiamo l’ambiente, il settore umanitario, accademico e artistico. Crediamo nel dialogo tra religioni e comunità etniche. La maggioranza dei georgiani non è contenta di come vanno le cose nel nostro Paese, ma manca l’energia per un cambiamento. C’è un grande senso di impotenza. E poi, dopo decenni di comunismo, dobbiamo ancora imparare come si partecipa alla vita civile. Questo è il nostro momento».
Georgian Dream, il partito al governo, lancia slogan nazionalisti come ‘La Georgia ai georgiani’, arresta i suoi oppositori, soffre di corruzione, attacca i media; Medea stessa ha ricevuto una multa per aver “bloccato la strada” durante una manifestazione... «Queste sono tutte cose che succedono in Russia e invece noi volevamo essere diversi». Le chiedo qual è il prossimo passo da fare. «Dobbiamo ridare ai nostri concittadini la speranza nel futuro».
E come? «Forse, la chiave sta nel parlarsi. Se la gente si parla, ne sono convinta, diventa anche più solidale, e se c’è più solidarietà c’è più attaccamento e allora ricominciamo a credere che sia possibile fare qualcosa tutti insieme, qualcosa di grande, grande persino come costruire il Paese nel quale vorremmo vivere».
© S.R.GMurale in favore dell’Ucraina a Tbilisi