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‘A rischio decine di migliaia di posti di lavoro in Svizzera’

Economia e politica in apprensione per l’aumento ‘inaspettato’ dei dazi sui prodotti elvetici. In Ticino preoccupa la tenuta delle piccole e medie imprese

Un quadro a tinte fosche
(Ti-Press)
4 agosto 2025
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«La preoccupazione è alta anche perché la situazione congiunturale è negativa. L’effetto dei dazi potrebbe arrivare a provocare una recessione a livello internazionale e ciò avrebbe gravi conseguenze per la nostra economia. Per le aziende si apre quindi una fase di ulteriore incertezza dove diventa molto difficile programmare anche gli investimenti. Decine di migliaia di posti di lavoro in Svizzera sono purtroppo a rischio». Per il direttore di Aiti, l’Associazione industrie ticinesi, Stefano Modenini, il quadro è decisamente a tinte fosche. L’aumento esplosivo dei dazi annunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fatto mancare la terra sotto i piedi non solo al mondo economico e industriale elvetico, ma anche a quello ticinese. Un incremento – da quel 31% comunicato in aprile al 39% paventato venerdì – che colloca la Svizzera in testa alla classifica dei tassi europei e fra i Paesi più colpiti al mondo e che, stando a Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio e dell’industria (Cc-Ti), è stato «assolutamente inaspettato». La «legittima» speranza, evidenzia Albertoni, era di essere trattati «più o meno alla stregua dell’Unione europea, visto anche l’ottimismo delle autorità federali».

Concorrenzialità sotto pressione

Lo scenario presentatosi (per ora, va detto) è però ben lontano. «È difficile valutare senza sapere esattamente cosa la Svizzera abbia messo sul tavolo, oltre al noto programma di investimenti. Non avendo la forza dell’Unione europea per investire miliardi nei vettori energetici americani o nel loro materiale militare, visto anche che gli aerei in teoria li abbiamo già acquistati, diventa complesso invertire l’andamento della bilancia commerciale dei beni», illustra Albertoni. Bilancia commerciale che, rimprovera il direttore della Cc-Ti, «sembra essere l’unico parametro adottato dal presidente americano per prendere queste decisioni».

A livello ticinese sono da aspettarsi ripercussioni sia dirette che indirette. «Le prime – riprende Modenini – sono legate alle esportazioni che dal Ticino vanno direttamente negli Stati Uniti. Qui bisogna distinguere settore per settore e caso per caso, perché vi sono aziende più o meno esposte verso gli Stati Uniti». E avverte: «Dobbiamo però essere in chiaro sul fatto che perdere e cercare di sostituire una quota di mercato anche solo del 5% verso gli Stati Uniti è molto difficile e richiede tempo, che le aziende non hanno». Le seconde, le ripercussioni indirette, «sono invece legate ai dazi del 15% applicati all’Unione europea, il nostro mercato più importante verso il quale rischiamo di essere meno competitivi». A ciò si aggiunge «la debolezza del dollaro nell’export svizzero e ticinese». Stando ad Albertoni tra le ripercussioni più pressanti vi è «il rischio concreto di perdita di concorrenzialità per il mercato statunitense e quindi l’abbandono di tale mercato». Il che porterebbe a un «conseguente rallentamento dell’attività con un’incidenza, in ultima analisi, anche sull’occupazione». Non solo. «È immaginabile che, oltre a considerare qualche trasferimento soprattutto parziale negli Usa, a questo punto potrebbe entrare in linea di conto anche lo spostamento di talune attività in Paesi dell’Ue». Certo, osserva il direttore della Cc-Ti, «un processo non facile e che dura parecchio tempo anche per chi è già saldamente insediato in altri Paesi, ma di cui occorre tenere conto».

‘L’unica certezza è che non ci sono certezze’

Attualmente sul chi vive, il settore farmaceutico, per il momento esentato dai dazi. Giovedì Trump ha però dato sessanta giorni di tempo alle ditte farmaceutiche per abbassare i prezzi dei medicamenti negli Stati Uniti e a inizio luglio aveva parlato di dazi al 200% su questi prodotti. A titolo di paragone, per la Svizzera i medicinali rappresentavano nel 2024 la metà del valore delle esportazioni verso gli Stati Uniti. «L’unica certezza che abbiamo – rimarca in tal senso il presidente di Farma Industria Ticino Piero Poli – è che non ci sono certezze». E snocciola alcuni degli annunci reboanti fatti da Trump negli ultimi mesi: «In aprile, al cosiddetto ‘Liberation Day’, erano stati comunicati dazi al 31% per la Svizzera. Oggi si discute forse di un 39% con esonero del farmaceutico. Due settimane fa si parlava però del 200% sul farmaceutico, con un eventuale esonero di un anno e mezzo. Senza certezze non si possono prendere decisioni solide basate su fatti concreti. E questo preoccupa i nostri affiliati». Il farmaceutico, aggiunge poi Poli, «non è un settore dove si agisce d’impulso. Decidere di lasciare un territorio per un altro è un processo che richiede anni. In fin dei conti i primi impatti saranno soprattutto sugli Stati Uniti, con un aumento dei prezzi per i consumatori e una carenza di farmaci». Non va inoltre dimenticato, precisa Modenini, «che il Ticino è caratterizzato da un tessuto economico composto soprattutto da piccole e medie imprese, anche per quanto concerne il farmaceutico. Lo stesso vale per chi produce macchinari di precisione e alta tecnologia, come pure per l’orologeria che in Ticino tratta con diverse lavorazioni la metà degli orologi prodotti in Svizzera». Tra la Cc-Ti e le aziende sul territorio, dice Albertoni, «i contatti sono praticamente quotidiani ormai da mesi. Sono però preoccupate anche le aziende americane, dato che non tutti i prodotti svizzeri o ticinesi hanno equivalenti, soprattutto in termini di qualità». L’auspicio è che si riesca a capire come «ripartire la ‘mazzata’ tra l’azienda esportatrice, quella importatrice e i consumatori. Ma questo si potrà fare solo quando vi sarà almeno un briciolo di certezza».

‘I margini di manovra non sono infiniti’

I nuovi dazi dovrebbero entrare in vigore dal 7 agosto, c’è speranza che qualcosa nel frattempo cambi? «Sebbene le autorità americane abbiano aperto a tale possibilità – sostiene Albertoni –, i margini a questo punto sembrano molto esigui. Lo stesso Trump ci ha comunque ormai abituato a sorprese quotidiane, ma preferisco non farmi troppe illusioni». Dello stesso avviso, anche Modenini: «Francamente temo che da qui al 7 agosto sarà quasi impossibile rivedere la decisione americana, proprio perché sembra che la volontà di Trump sia punire la Svizzera. Sarebbe già un successo ottenere quantomeno un rinvio dell’entrata in vigore dei nuovi dazi. Purtroppo l’impressione è che la Svizzera abbia puntato soprattutto su negoziati a livello tecnico, quando invece con personaggi come Trump bisogna agire su un piano maggiormente politico».

Passato lo shock iniziale, che fare? Prioritariamente, auspica Poli, «Berna dovrebbe cercare di mitigare l’impatto dei dazi o perlomeno ottenere una proroga. In aggiunta, capire con la Banca nazionale come mai il franco svizzero sia ancora così forte. Fattore che penalizza un’industria rivolta all’export». I margini di manovra, evidenzia dal canto suo Modenini, «non sono infiniti. Sappiamo che la Svizzera è contraria ad applicare misure di ritorsione, ma anche che non è nella nostra tradizione mettere in campo aiuti di Stato a settori economici in difficoltà. Ciò potrebbe aumentare il divario con l’Ue, che potrebbe aiutare le aziende europee proprio con qualche forma di aiuto di Stato». Di sicuro c’è per Modenini che «la Svizzera deve continuare a potenziare gli accordi di libero scambio con altri Paesi e ridurre gli oneri finanziari e burocratici a carico delle aziende sul piano interno». Non da ultimo, secondo Albertoni, «è illusorio pensare di poter trovare rapidamente alternative a un mercato importante come quello americano, malgrado la giusta ed efficace politica di concludere accordi di libero scambio con il maggior numero di Paesi. Per cui confidiamo che strumenti come il lavoro ridotto possano aiutare a limitare i danni. In un contesto del genere non potremo ovviamente esimerci da una discussione politica volta a portare avanti riforme che aiutino le imprese a rimanere competitive».

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