Il giudice Curzio Guscetti ha pronunciato la sentenza nei confronti del 46enne che lo scorso novembre a Losone aggredì gli anziani genitori
“È stata una tragedia famigliare”. Il giudice Curzio Guscetti ha pronunciato oggi, nel tardo pomeriggio, la sentenza nei confronti del 46enne che lo scorso 10 novembre aveva aggredito a Losone i genitori. La pena: 6 anni da espiare e un trattamento ambulatoriale in carcere, come misura terapeutica.
Guscetti, affiancato dai giudici a latere Luca Zorzi e Giovanna Canepa Meuli, ha quindi sposato appieno le tesi della procuratrice pubblica Chiara Buzzi, andando addirittura oltre i cinque anni che lei aveva chiesto. Nulla da fare, invece, per la difesa, con l'avvocato Stefano Stillitano che era giunto a proporre la scarcerazione, respingendo il reato di tentato omicidio intenzionale.
Il presidente delle Assise criminali di Locarno ha affermato che i fatti avvenuti nella villetta quella mattina di novembre sono effettivamente da qualificare come duplice tentato omicidio intenzionale per dolo eventuale. Ha riconosciuto che gli anziani genitori non sono mai stati in pericolo di vita, ma i pugni ricevuti in faccia e alla testa da entrambi, le pedate al padre e le ferite da coltello alla madre potevano potenzialmente essere letali, sia per il loro stato di salute (ben conosciuto dall'imputato), sia per la loro età avanzata. Una tesi attinta dal rapporto del medico legale, un atto ufficiale che nessuno ha mai contestato.
Oltre al riconoscimento dei fatti elencati nell'atto d'accusa, hanno pesato le affermazioni del figlio che, durante l'aggressione e in occasioni successive, ha ribadito la volontà di uccidere il padre. Senza dimenticare che l'attacco è stato prolungato: si è svolto in due fasi e l'accusato non ha desistito. Di più: quando il padre è fuggito si è scagliato contro la madre, brandendo un coltello e reiterando l'azione.
Guscetti ha comunque tenuto conto di diverse circostanze attenuanti. Prima fra tutte il difficile vissuto dell'imputato, sin dall'infanzia, i suoi problemi psicologici, la forte sofferenza, l'alcol e la collaborazione con gli inquirenti. «Il rapporto con suo padre era tossico, frustrante e disfunzionale – ha spiegato –. Ha subito per anni lo scherno e la denigrazione da parte di una figura paterna che doveva essere comprensiva. Ha covato sentimenti di rancore e odio e per 26 anni ha seguito cure psicologiche. Ma ciò dimostra un fallimento della presa a carico, quando si era alla presenza di segnali chiari di un malessere, tra ricoveri, tentativi di suicidio, abuso di alcol e aggressività. Tanti campanelli di allarme che non hanno ricevuto le risposte adeguate».