Castione: il Tribunale federale respinge il ricorso del titolare e dettaglia la procedura. Al centro un conguaglio non contestato né pagato integralmente
Il titolare della palestra Gimnasium di Castione – chiusa il 23 gennaio su ordine della Pretura di Bellinzona – era davvero certo, durante l’intensa e insistente campagna pubblicitaria avviata lo scorso autunno e inverno per la sottoscrizione di nuovi abbonamenti, che sarebbe presto stato sfrattato? Se lo era potrebbe allora configurarsi il reato di truffa, come ipotizzato dal Ministero pubblico che ha recentemente aperto un’inchiesta penale a suo carico per capire se i molti clienti nuovi e vecchi siano stati raggirati. Se invece risultasse che non era certo che lo sfratto deciso dalla Pretura il 24 ottobre scorso sarebbe poi stato confermato dalle due istanze superiori, e che perciò vi sarebbe stata qualche possibilità di proseguire l’attività nello stabile in questione, allora il lavoro degli inquirenti si fa più tosto. Un aiuto a ricostruire la vicenda lo fornisce il Tribunale federale che in una sentenza pubblicata oggi, ma firmata il 18 marzo, respinge il ricorso del titolare della palestra contro l'ordine di sfratto. Emerge che poteva presumere, nel periodo caldo fra novembre e gennaio, di avere qualche chance di ottenere ragione dal profilo giudiziario, sebbene sia notorio quant'è difficile spuntarla davanti al Tribunale d’appello e al Tf di Losanna. Nella sua sentenza la massima corte giudiziaria elvetica ricostruisce la vicenda. Date e fatti elencati potrebbero indignare i molti clienti sentitisi raggirati avendo sottoscritto dei contratti per svariate centinaia di franchi, in taluni casi fino al giorno precedente la chiusura forzata. Idem i dipendenti che hanno perso il lavoro.
La società proprietaria dello stabile – scrive il Tf – aveva locato alla Sa della palestra spazi commerciali adibiti a centro fitness e venti parcheggi per una pigione mensile indicizzata di 3'500 franchi e un acconto mensile per spese accessorie di 2'500 franchi con conguaglio a fine anno. Il punto 6 del contratto prevedeva che il conguaglio era da pagare o contestare per iscritto entro 30 giorni, ritenuto che in assenza di contestazione entro tale termine il conteggio sarebbe stato ritenuto approvato. La data chiave della vicenda è il 14 febbraio di un anno fa, quando la proprietaria trasmette alla palestra il conguaglio 2023 pari a 11'854 franchi, chiedendone il pagamento entro 30 giorni. L’11 marzo 2024 (quindi entro i 30 giorni) la società del centro fitness chiede di ricevere le fatture, che vengono inviate via email all'amministratore unico il 20 marzo (a 30 giorni ormai scaduti).
Dopo quasi tre settimane senza esito, l’11 aprile la locatrice sollecita l’inquilina affinché versi il dovuto entro dieci giorni. Passano altre quattro settimane e il 6 maggio la locataria chiede via email di poter pagare a rate. Ma invano. Infatti il 16 maggio la patrocinatrice legale della proprietaria diffida la palestra, via lettera raccomandata alla posta, a saldare il conguaglio entro trenta giorni, con la comminatoria della disdetta del contratto causa ritardo nel pagamento. La comminatoria viene rinforzata da un precetto esecutivo che l'Ufficio di esecuzione di Bellinzona emette il 21 maggio; precetto rimasto senza opposizione, quindi a tutti gli effetti valido e pendente. Il 29 maggio altra email della palestra che rinnova, senza esito, la richiesta di pagamento rateale.
Allo scadere dei trenta giorni (siamo al 18 giugno) la proprietaria disdice il contratto di locazione tramite modulo ufficiale. Ma il medesimo giorno la società della palestra versa 10'042 franchi. Ossia l'85% del totale. Fuori tempo massimo? In ogni caso mancano all’appello poco meno di duemila franchi. Forte del pagamento fatto, l’amministratore della palestra l'11 luglio avvia una procedura di contestazione della disdetta rivolgendosi all'Ufficio di conciliazione in materia di locazione. Passa un mese e il 9 agosto con istanza di tutela giurisdizionale nei casi manifesti la locatrice chiama in giudizio l’inquilina davanti alla Pretura civile chiedendone lo sfratto. Due mesi e mezzo dopo, e siamo al 24 ottobre, in piena campagna rinnovo abbonamenti o sottoscrizione di nuovi, il Pretore accoglie l'istanza.
Decisione che viene impugnata dal titolare davanti alla seconda Camera civile del Tribunale di appello. La quale il 10 gennaio 2025 respinge l'appello indicando che l’inquilina non aveva contestato il conguaglio datato 14 febbraio 2024 né si era confrontata con l'email del 20 marzo 2024 che attesta l'invio delle fatture. La Camera rimprovera pure al titolare alcuni suoi comportamenti, interpretati come una conferma del suo riconoscimento incondizionato del debito: assenza di contestazioni anche dopo la ricezione delle diffide, richiesta priva di riserve di poter pagare l'importo a rate, mancata opposizione al precetto esecutivo e pagamento parziale del 18 giugno 2024. Sempre la Corte cantonale ritiene tardive, perché proposte per la prima volta in sede di appello, le contestazioni concernenti gli importi risultanti dalle fatture.
Arriva il 23 gennaio: doccia fredda per le centinaia di clienti imbattutisi nel laconico messaggio “Ci dispiace informarvi che tutti i corsi sono sospesi e che la palestra e il centro estetico resteranno chiusi fino a nuovo avviso”. Sentito dalla nostra redazione, il titolare assicura che la struttura riaprirà molto presto. Ma non andrà così. E il 4 febbraio si rivolge al Tf, che fra l’altro non concede l’effetto sospensivo: nel ricorso l’inquilina chiedeva l'assunzione agli atti di due documenti per dimostrare che la diffida del 16 maggio 2024, inviatale via raccomandata, sarebbe stata lasciata dal postino nella buca delle lettere e non consegnata a mano (come indica la prassi corretta) a una persona referente della palestra. Perciò la ricorrente affermava di avere preso conoscenza della diffida unicamente il 23 maggio, ragione per cui la disdetta del 18 giugno sarebbe stata notificata prima dello scadere del termine di 30 giorni; inoltre negava di avere riconosciuto il conguaglio, avendolo impugnato davanti all'autorità di conciliazione. Nel merito, a suo dire la richiesta di un pagamento a rate configurava semplicemente un metodo di pagamento e un'opposizione a un precetto esecutivo può essere presentata sino alla procedura di pignoramento o fallimento. Non da ultimo, sempre nel ricorso sosteneva che per poter accettare o contestare il conguaglio avrebbe dovuto essere a conoscenza sia delle varie spese pagate dal locatore, sia dell'esatta chiave di riparto che non le sarebbe però stata presentata. E ancora: la Corte cantonale non avrebbe nemmeno considerato che l’inquilina aveva contestato la disdetta davanti all'Ufficio di conciliazione proprio perché in disaccordo sul conguaglio; e che, secondo una parte della dottrina, l'avvio di tale procedura vanifica la disdetta.
Tutte critiche inconsistenti: secondo il Tf la ricorrente “si scosta inammissibilmente dai fatti accertati” dalla Corte cantonale. “Pare infatti dimenticare di non avere contestato il conguaglio nel termine previsto dal contratto”. Ciò che ha finito per porre a suo carico la prova dell'inesattezza del conteggio. Quanto poi alla procedura di contestazione della disdetta, il Tf taglia corto rinviando alla giurisprudenza in materia. E “non risulta neppure, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, che la Corte cantonale abbia violato il diritto federale per avere emanato una decisione di apprezzamento che avrebbe unicamente potuto pronunciare in una procedura ordinaria”. Nessuno spazio, par di capire, per una riapertura della palestra.