laR+ Bellinzonese

Tre anni e dieci mesi per un accoltellamento tra richiedenti asilo

Un 48enne siriano è stato condannato ed espulso per otto anni per un tentato omicidio avvenuto lo scorso 28 dicembre alla pensione Millefiori di Giubiasco

È stato ritenuto colpevole di tentato omicidio e condannato a 3 anni e 10 mesi di reclusione, più 8 di espulsione dalla Svizzera, il 48enne siriano finito oggi a processo davanti alla Corte delle assise criminali riunita a Lugano e presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.

L’uomo, giunto in Svizzera nell’estate 2023 in fuga dal suo paese d’origine, dov’era stato sottoposto a un periodo di carcerazione durante il quale aveva subito torture fisiche e psicologiche, il 28 dicembre 2024 quando soggiornava alla pensione Millefiori di Giubiasco assieme ad altri richiedenti l’asilo (la sua domanda era stata respinta e gli era stata concessa soltanto un’ammissione provvisoria) aveva tentato di accoltellare al collo un altro richiedente. Infastidito dal rumore (chiacchiere e musica) provocato dopo mezzanotte dal suo compagno di camera e dalla vittima, che risiedeva in un altro appartamento dello stesso palazzo, dopo aver provato con le buone, ma senza successo, a indurre i due al silenzio, era tornato in cucina dalla sua camera da letto armato di un coltello con una lama di 5 centimetri. Ne era subito nata una colluttazione che il compagno di camera aveva inutilmente cercato di sedare e nel corso della quale l’imputato aveva sferrato due colpi con l’arma da taglio, nel tentativo di colpire la vittima al collo, procurandogli però soltanto ferite lievi al volto.

Versioni ballerine

Nella sentenza il giudice Pagnamenta ha precisato come i fatti risultino chiari già alla lettura degli atti. Cosa è successo lo si evince «non solo sulla base delle dichiarazioni convergenti di vittima e testimone, ma pure dalle ammissioni fornite dall’imputato nei primi verbali, quando ha ammesso che era sua intenzione colpire al collo con l’intento di uccidere». Nei giorni successivi – e il procuratore pubblico Pablo Fäh lo ha fatto ampiamente notare nel corso della requisitoria, al termine della quale ha chiesto una pena di 4 anni più 8 di espulsione – il 48enne siriano ha più volte cercato di cambiare versione, arrivando ad asserire che le ferite sul corpo della vittima erano state autoinferte mediante una forchetta recuperata nel lavandino della cucina: «Cambiamenti non credibili – ha proseguito Pagnamenta – che appaiono solo come il tentativo di migliorare la situazione processuale. Per quanto riguarda la forchetta, si tratta di un tema sul quale ha mutato opinione così tante volte da non meritare nemmeno di essere affrontato».

L’alibi della paura non regge

L’imputato non poteva non essere conscio della pericolosità di un gesto suscettibile di mettere in pericolo la vita della vittima, ma d’altra parte «era proprio la morte che stava cercando». Se, come affermato in aula, si era munito del coltello da cucina in quanto temeva per la sua incolumità di fronte a un uomo descritto dell’avvocatessa della difesa Valentina Nero come «noto a tutti per i suoi atteggiamenti di sfida», sarebbe rimasto «in camera sua – ha aggiunto il giudice Pagnamenta –. Il fatto che sia tornato in cucina munito di coltello dimostra l’assenza di paura e l’intenzione di regolare i conti una volta per tutte».

L’avvocatessa Nero, chiedendo per il suo assistito la derubricazione del reato a lesioni semplici, ha fatto notare come «una volta accortosi che la vittima sanguinava, il mio assistito se ne è tornato in camera sua, il che dimostra l’assenza di una volontà omicida». Una tesi che la giuria non ha accolto, a differenza della perizia psichiatrica alla quale il 48enne siriano era stato sottoposto e che fa stato di problemi psicologici, legati al suo passato e alle torture subite in Siria, problemi riscontrati durante l’ultimo dei tre ricoveri coatti ai quali era stato obbligato nei mesi precedenti l’aggressione.

Scemata imputabilità di grado medio

Un disturbo postraumatico da stress che ha portato la corte a riconoscergli una scemata imputabilità di grado medio. «Resta il fatto che la colpa è da considerarsi grave – ha proseguito il giudice Pagnamenta –: dal punto di vista oggettivo in quanto ha messo in pericolo la vita altrui, dal punto di vista soggettivo perché mosso da futili motivi». Per fortuna il suo intento non è andato a buon fine e «il reato si è ridotto a un tentativo. Se l’omicidio fosse stato consumato, la valutazione della pena andrebbe dai 15 ai 16 anni, in questo caso si riduce a 7,5-8 anni. Tuttavia, considerando la scemata imputabilità, l’imputato viene condannato a 3 anni e 10 mesi».

Poche parole sul tema dell’espulsione. In aula il 48enne, che a fine procedimento si è detto pentito del suo gesto, aveva affermato di essere intenzionato a tornare in Siria dalla famiglia, dal momento che sono venuti a cadere quei vincoli che lo avevano indotto a fuggire: «Siccome al momento in Siria la situazione è migliorata, viene decretata l’espulsione per una durata di 8 anni», ha concluso Amos Pagnamenta.