Sabato 18 ottobre manifestazione per chiedere alle autorità misure a difesa dell'attività alpestre. Lanciata anche una petizione
Sabato 18 ottobre, con partenza da Largo Elvezia, tutti coloro i quali hanno a cuore la sopravvivenza degli animali da reddito e il futuro degli alpeggi ticinesi sfileranno per chiedere al Governo federale e a quello cantonale di chinarsi seriamente e concretamente sul problema posto dalla presenza (e dalla continua espansione) del lupo in Ticino. Contemporaneamente, il Gruppo Territorio e Alpeggi (Gta) ha lanciato una petizione popolare per chiedere provvedimenti a salvaguardia dell’attività alpestre nel nostro Cantone, con misure quali la drastica riduzione dei lupi presenti, in modo da renderli compatibili con l’allevamento ovino e caprino, la possibilità per i pastori di difendere concretamente le greggi in caso di attacchi, la quantificazione di una soglia massima sopportabile di branchi, il sostegno finanziario all’allevamento di animali da reddito…
La convivenza tra il lupo e il mondo della pastorizia ha raggiunto la soglia critica, oltre la quale gli allevatori non sono più disposti ad andare. Lo hanno ribadito questa mattina in una conferenza stampa, nel corso della quale è stato ricordato come la misura sia ormai colma. Purtroppo, la gestione dei grandi predatori da parte della politica è sfuggita di mano ed è impellente correre ai ripari se si vuole continuare ad avere anche in futuro un’attività alpestre, diventata in questi anni sempre meno attrattiva.
Lo ha ricordato Omar Pedrini, presidente dell’Unione contadini ticinese, secondo il quale «il numero degli allevatori che decidono di non più caricare gli alpeggi continua ad aumentare. È assurdo che in un territorio come quello della Vallemaggia non vi sia più nemmeno una pecora all’alpe e che quelle rimaste in Leventina siano pochissime».
Per le autorità, alpi e pascoli dovrebbero essere adeguatamente protetti dal lupo, tuttavia – come ha sottolineato Sem Genini, segretario agricolo cantonale – «il 74% di quelli caricati a ovini e il 79% di quelli con capre munte non sono ragionevolmente proteggibili durante la notte, mentre il 94% di quelli con capre e pecore non lo è nemmeno durante il pascolo diurno».
Ancora Pedrini: «Si afferma che nei Grigioni la convivenza funziona. Ma nei Grigioni è stata fatta una scelta: gli alpeggi non proteggibili vanno dismessi. Anche in Ticino occorre che a livello politico qualcuno ci metta la faccia. Così, quando gli effetti della sparizione degli alpi saranno visibili, se ne dovrà assumere le responsabilità».
Per gli allevatori, il 2025 è stato un anno disastroso. Dal 1° gennaio al 27 settembre le statistiche fanno stato della predazione di 195 tra pecore e capre (129 e 66), alle quali vanno aggiunti 153 capi dispersi (74 e 79). Numeri che, come detto, inducono più di un allevatore ad alzare bandiera bianca: «Con un’importante perdita finanziaria per le aziende, con la diminuzione di posti di lavoro e con un contraccolpo economico su tutto il mondo agricolo», ha proseguito Pedrini.
La rinuncia a caricare gli alpeggi porta con sé effetti secondari sui quali spesso non si riflette, ma la cui importanza è innegabile. Senza la presenza degli animali da reddito, molte zone del cantone verrebbero lasciate all’incuria, bosco e sterpi avanzerebbero, con un potenziale rischio geologico e una sicura perdita di attrattività a livello turistico. Tutto ciò rappresenterebbe una perdita secca anche per i 198 patriziati ticinesi, proprietari di circa due terzi delle strutture alpestri presenti «e impegnati a preservare il nostro territorio e a valorizzare le nostre tradizioni con importanti investimenti, non solo nostri ma anche di fondazioni private, Cantone e Confederazione – ha ricordato Tiziano Zanetti, presidente dell’Alleanza patriziale ticinese –. Non so se sia peggio un alpe senza alpigiani o un alpigiano senz’alpe, ma so che sono ugualmente sbagliati. Dobbiamo lottare affinché ciò non avvenga».
Per Alex Farinelli, consigliere nazionale e presidente della Società ticinese di economia alpestre, «il tema lupo ci è sfuggito di mano. Contenere non è più possibile. Occorre chiedersi se valga la pena spendere decine di milioni per gestire una situazione del genere che si limita ad applicare dei cerotti. Mi domando quale sarebbe la reazione della popolazione se a essere predati fossero non 20 pecore o capre, bensì 20 cani o gatti… Capre e pecore vengono spesso definite animali da reddito, ma per gli allevatori sono molto di più, sono parte della famiglia».
E il problema non si limita a pecore e capre, ma inizia a interessare pure i bovini. «La stagione alpestre – ancora Farinelli – rappresenta il 30% del reddito delle aziende con mucche da latte. In Vallemaggia ci sono già state le prime avvisaglie, con un elevato numero di predazioni di capre che ha avuto conseguenze sulla produzione del formaggio Vallemaggia, a latte misto. Nel canton Vaud, con la progressiva scomparsa degli alpeggi ovi-caprini sono aumentate le predazioni di bovini. E se aumentano gli attacchi alle mucche da latte, le conseguenze sulla redditività delle aziende saranno serie».
Nell’attuale gestione del problema, Denis Vanbianchi, presidente del patriziato di Olivone, Campo e Largario, intravede la catalogazione per serie degli animali: «Ce ne sono di serie A e di serie B. Gli ovini sono sacrificabili, ma il lupo non lo può essere? Per la convivenza è tardi. Bisogna scegliere: o il lupo, o l’agricoltura di montagna».
Toccante, infine, la testimonianza di Flavia Anastasia, allevatrice di Claro che ogni estate porta le sue capre da latte all’alpeggio Montoia, nel Gambarogno: «Nella nostra zona è presente il branco del Carvina e dopo un primo tentativo di attacco nel 2023 ci siamo trovati costretti a proteggere le capre durante la notte mediante una recinzione, rinunciando ad altre misure quali pascoli recintati e cani da protezione a causa della conformità ripida e irregolare dell’alpeggio e alla presenza di numerosi turisti. Abbiamo potuto allestire un recinto spazioso con un riparo dalle intemperie, in quanto le capre, a differenza delle pecore, non possono rimanere sotto la pioggia. Tuttavia, il fatto di non poter pascolare liberi anche durante le ore notturne, crea agli animali numerosi problemi: le capre sono animali gerarchici, se chiuse in un recinto lottano per la supremazia, con situazioni di stress continuo (e talvolta anche di ferimenti); il letame prodotto si accumula nel recinto e manca sul pascolo; l’eccesso di sporcizia crea infezioni alle unghie degli animali con conseguenti zoppie; i parassiti intestinali proliferano e creano l’indebolimento dell’intero gregge; le capre mangiano volentieri la notte, ma nel recinto notturno non hanno cibo e ciò comporta la produzione di meno latte; le capre necessitano di un riparo per la pioggia, ma in molti alpeggi ciò non è possibile. Per evitare di dover trasformare la nostra azienda in un allevamento intensivo, abbiamo deciso di cambiare il periodo produttivo. Avremo la produzione di capretti e formaggi in inverno, mentre andremo in alpeggio con le capre in asciutta. In questo modo potremo seguirle al pascolo tutto il giorno e non saremo costretti a pascolare di notte. Inoltre, la presenza costante nel gregge ci permetterà di detenere cani da guardia senza pericolo per i turisti. Siamo i primi in Ticino a provare questa soluzione, quindi avremo tutti i rischi sulle nostre spalle!».
La misura, insomma, è colma. Per gli allevatori, la coabitazione con il lupo, a queste condizioni, non è più possibile.