Mentre la petizione pro-schermo del Vacchini supera le 7'000 firme, facciamo il punto con il promotore, l'architetto ed ex municipale Bardelli
Abbondantemente sopra quota 7’000 firme. È il livello di consenso raggiunto dalla petizione lanciata a Locarno per salvaguardare lo schermo disegnato nel ’71 dal grande architetto Livio Vacchini per Piazza Grande. Schermo che però, dopo 54 anni di onorato servizio, i vertici del Locarno Film Festival hanno deciso di mandare in pensione per questioni di risparmio, di praticità logistica e anche di tempistica, in relazione alla “finestra” fra “Moon&Stars” e il Festival, che si dice potrebbe anticipare le sue date. La soluzione scelta dalla rassegna cinematografica è stata “gemellarsi” con i concerti, affittando una struttura che prima serve da palco musicale, e subito dopo da maxi-schermo cinematografico.
Di fronte a questo sfregio storico, oltre che architettonico, l’architetto ed ex municipale socialista di Locarno Michele Bardelli ha avviato un dibattito pubblico su quest’ipotesi e, assieme a diversi amici e colleghi – tra i quali la figlia stessa di Livio, Eloisa Vacchini, architetto e co-titolare dello studio fondato dal padre – ha promosso la raccolta di firme. Vi hanno aderito, tra i primi 20 firmatari, diversi grandi nomi dell’architettura (fra cui Mario Botta) e della cinematografia (fra cui Villi Hermann, Marco Müller e Silvio Soldini).
Michele Bardelli, il vostro tsunami si è abbattuto sul Locarnese e non solo. In tre settimane avete raggiunto e superato quota 7’000 firme. Dove volete arrivare?
Quando abbiamo lanciato la raccolta di firme ci eravamo prefissati di raccoglierne un numero simbolico, paragonabile a quello degli spettatori di una serata di cinema in Piazza Grande. A questo punto, le serate saranno almeno due o tre.
Quindi si va avanti? E per ottenere cosa, concretamente?
Certamente, proseguiremo durante tutto il Film Festival. L’obiettivo primario del gruppo promotore della raccolta firme – composto dai primi 20 firmatari e da altre persone legate al Festival – è aiutare la rassegna a mantenere l’eccellenza che ha sempre avuto.
Non trova preoccupante che una riflessione del genere debba nascere all’esterno, prima che all’interno della rassegna?
Noi riteniamo che la scelta fatta quest’anno sia fondamentalmente un errore e crediamo che quello che vedremo quest’anno farà capire a tanta gente che dagli errori si può imparare. Pensiamo che la soluzione in uso fino all’anno scorso per le proiezioni in Piazza Grande sia il massimo che si può avere. Stiamo parlando di un proiettore che manda un fascio di luce su un telo bianco. Quello finora sempre utilizzato in Piazza è un sistema molto preciso, sviluppato negli anni, partendo dal progetto Vacchini. Con l’aiuto di “cinema designer” particolarmente capaci – in particolare Patricia Boillat ed Elena Gugliuzza, della Boite Visual Art – si è arrivati a creare qualcosa di tecnologicamente all’avanguardia e del tutto adeguato alle esigenze del Festival. Anche per questo deve rimanere. E non solo lo schermo.
Ovvero?
Lo stesso discorso vale anche per tutte le altre strutture architettoniche del Festival, che si è sempre distinto rispetto ad altre grandi manifestazioni per essersi affidato in maniera seria e precisa a veri progetti. Parlo dell’entrata in Piazza, ma anche della Magnolia di Michele Arnaboldi, che il Coo del Festival ha detto di voler smantellare perché soffrirebbero dello stesso male dello schermo del Vacchini. E vi sarebbe un discorso da fare anche sullo Spazio cinema in zona Fevi, dove, con quello che si sta costruendo, si assiste purtroppo a un altro svilimento della qualità.
Insomma, sembra non ne stiano facendo una giusta.
Noi siamo in ottimi contatti con la Direzione del Festival, cui in occasione di un incontro abbiamo già chiarito che non siamo contro la rassegna, ma a favore. Vogliamo darle una mano a rimanere l’eccellenza che è sempre stata, e far capire all’interno del Festival che quest’eccellenza consolidata negli anni non è arrivata solo grazie ai personaggi e al “glamour”, ma anche a un intreccio di relazioni della rassegna con la città e la realtà economica locale. All’apparenza la nuova Direzione sembra averlo un po’ dimenticato. E infatti le scelte operate ultimamente vanno a indebolire il Festival, mentre il nostro obiettivo è rafforzarlo. Nei giorni scorsi ho avuto occasione di comunicare al Ceo Raphaël Brunschwig che la nostra petizione continuerà anche durante il Festival per portare ancora di più il dibattito fra i cittadini e raccogliere molte altre firme per dimostrare che gli interventi infrastrutturali effettuati dalla rassegna non sono una banalità e non si parla solo di risparmio, ma si va a toccare l’unicità e l’eccellenza del Festival, che sono fatte di tanti elementi.
Uno dei quali è la cabina di proiezione, con il suo “diamante” alla base che le donava una particolare e studiata leggerezza.
Ci siamo accorti tutti che quest’anno la cabina ha perso tutto il suo senso di elemento leggero che aveva con il “diamante”, progettato dal Vacchini. Si tratta di un altro simbolo che è stato vittima dell’idea di uniformare e semplificare. Ne abbiamo discusso proprio domenica sera con il vicepresidente del Festival, Luigi Pedrazzini, che ha capito l’errore e ci ha garantito che dall’anno prossimo si tornerà all’originale.
Tornando alla struttura dello schermo, il Festival ha giustificato il cambiamento con precise esigenze di tempistica.
Abbiamo notato che questo schermo non si monta più in fretta di quell’altro: il precedente richiedeva 4 giorni e oggi siamo già al sesto giorno e manca ancora il telo. Non possiamo pronunciarci sul risultato finale, ma solo vedendo gli ancoraggi del triplo ponteggio montato al posto della struttura tridimensionale di Vacchini si può osservare un impatto a terra molto diverso. Al di là dell’aspetto architettonico, capiremo con che schermo abbiamo a che fare solo durante le proiezioni. Quanto alla tempistica e all’asserita necessità di passare a una struttura più “snella” per combinarsi con “Moon&Stars”, bisogna anche ragionare sulle precedenze e le priorità. I concerti, con tutto lo spazio che occupano, devono secondo noi essere subordinati al Festival, mentre sembrerebbero godere quasi di più considerazione nelle gerarchie cittadine, anche se in realtà sono un’attività commerciale che promuove un tipo di turismo a nostro avviso meno interessante di quello qualitativo, e di persone che rimangono più tempo in città, generato dal Festival. Quello che al momento sorprende è il silenzio dell’autorità sul dibattito riguardante lo schermo e l’architettura del Festival, mentre a favore dei concerti v’è stata una presa di posizione piuttosto netta.
Poi c’è chi si è pronunciato su un possibile riuso dello schermo, magari in Rotonda e in orizzontale, come copertura o pergola. Cosa ne pensa?
In molti siamo rimasti sorpresi dall’uscita del collega Felix Wettstein. La proposta sembra concretamente improponibile. La struttura dello schermo era un’autentica “genialata” di Vacchini, arrivata in un momento storico ben preciso come risposta alle esigenze del cinema in Piazza Grande. E lo è tuttora. Come ha ribadito lo stesso Mario Botta settimana scorsa, durante una nostra conversazione, lo schermo del Vacchini funzionava ancora benissimo e non c’erano motivi seri – si riferiva ad esempio al sistema di proiezione – per cambiare. Pertanto, pensare di usare la struttura come pergola o come copertura in Rotonda non ha senso e dimostra poco rispetto anche di quel grande vuoto voluto da Galfetti, ma capace di raccogliere più attività. Tornando allo schermo del Vacchini, è forse il più entusiasmante e interessante dei suoi lavori. Vacchini stesso affermava “che trasformare Piazza Grande in sala cinematografica è stato il lavoro più difficile della mia vita”. Immaginare un suo riuso altrove, fuori contesto, non è a mio avviso possibile; proporre di ruotarlo in orizzontale trasformandolo in pergola con tanta disinvoltura mi pare una mancanza di rispetto di quanto progettato negli anni 70, anche nei confronti della locarnesità e dell’ecosistema del suo Festival, molto ben concepito nel corso degli anni.