Al Palacinema è andata in scena la commemorazione del Centenario del Patto, la storica conferenza di pace tenutasi nel 1925 proprio sulle rive del Verbano
Quanto servirebbe al mondo di oggi un po’ dell'Esprit de Locarno. Uno spirito che 100 anni or sono portò i rappresentanti delle grandi potenze europee, riuniti per una decina di giorni (tra il 5 e il 16 ottobre 1925) proprio sulle rive del Lago Maggiore, a elaborare, attraverso diversi trattati e convenzioni (gli Accordi di Locarno appunto), un’intesa volta a garantire la stabilità e la pace nel continente dopo la Prima guerra mondiale. Una pietra miliare diplomatica che pose – seppur temporaneamente – fine ad anni di tensioni e segnò un nuovo approccio alle relazioni internazionali, basato sulla sicurezza collettiva, sul dialogo e sulla cooperazione tra le nazioni. Valori che oggi come allora servirebbero come il pane (purtroppo non solo in senso metaforico) in un contesto geopolitico globale che appare fragilizzato e frammentato come non lo era da tempo e nel quale i conflitti (Gaza e Ucraina sono solo quelli più attuali e mediatizzati) si moltiplicano e si trascinano. E con essi le vittime, innocenti, impotenti.
Una dicotomia (pace e guerra, celebrazione e sofferenza) che ha inevitabilmente pervaso anche la commemorazione ufficiale del Centenario del Patto di Locarno, tenutasi sabato al Palacinema – fuori dal quale alcune centinaia di persone hanno manifestato esprimendo solidarietà per il popolo palestinese e per i membri della Sumud Global Flotilla fermati dall’esercito israeliano – quale parte integrante dei festeggiamenti che oramai da inizio anno ricordano, attraverso tutta una serie di iniziative (programma completo e aggiornato su www.locarnocittadellapace.ch) l’eccezionalità e la portata storica di quanto accaduto cent’anni fa nella città dell’allora sindaco Giovan Battista Rusca.
«C‘è un filo invisibile ma essenziale che lega Locarno e il Consiglio d'Europa: la ricerca della pace». Ad affermarlo l’ospite più atteso della giornata, l'ex consigliere federale (dal gennaio 2012 al dicembre 2023) e da poco più di un anno segretario generale dello stesso Consiglio d'Europa Alain Berset, per il quale un secolo dopo gli eventi di Locarno «non è più tempo delle promesse, ma di agire per difendere la pace. Una pace che deve essere coltivata, su ogni terreno, a maggior ragione oggi che lo spirito di solidarietà – quello stesso spirito che è stato la forza di Locarno e che ha portato alla nascita del Consiglio d'Europa – è messo alla prova dall'estremismo e dalla frammentazione politica, forze divisive alle quali bisogna opporre un processo di unione rinnovando il patto per difendere la democrazia».
Un invito quest'ultimo già lanciato pochi giorni or sono ai leader europei riuniti a Copenhagen da Berset, secondo il quale "il modello attuale di democrazia, che rappresenta la nostra prima linea di difesa, deve non solo essere difeso ma reinventato. Perché una democrazia fragile mette a rischio la sicurezza, la prosperità e la pace». Fondametale, a tal proposito, «agire prima che sia troppo tardi e in questo senso il centenario del Patto di Locarno arriva, quasi per uno scherzo del destino, al momento giusto per ricordarcelo».
Il riferimento è in particolare ai conflitti in Ucraina e a Gaza, con quest’ultimo che sta vivendo ore decisive dopo il “piano” proposto dal presidente Donald Trump. Un tema delicato sul quale esprimersi (andando evidentemente oltre alla speranza di una fine della guerra, di aiuti e di prospettive future durature per la popolazione della Striscia) per il segretario generale del Consiglio d’Europa, il quale, dopo aver ricordato come l’istituzione che rappresenta riunisca 46 Paesi ognuno con la propria storia e sensibilità, ha affermato che sarebbe «felice se oggi fossimo davvero vicini alla risoluzione di questa tragedia umanitaria, ma ho l’impressione che sarà ancora lunga. Non bisogna confondere ottimismo con ingenuità e una questione così complessa si può risolvere solo attraverso un processo politico credibile».
Di fronte a una platea che comprendeva rappresentanti delle ambasciate dei Paesi firmatari del Patto (ricevuti anche a Palazzo Marcacci e i cui inni nazionali sono stati proposti quali intermezzi musicali dall’Orchestra della Svizzera Italiana), così come dell'Onu e di alcune città gemellate, senza dimenticare parlamentari cantonali, federali e autorità locali, il sindaco di Locarno Nicola Pini ha sottolineato come la Storia, quella con la esse maiuscola, sia «uno strumento per capire il presente e impostare il futuro» e come in questo senso le numerose iniziative organizzate nell'ambito dei festeggiamenti per il centenario del Patto siano state pensate «non solo per ricordare, ma soprattutto per coinvolgere, riflettere e agire».
Ricordando anche la dichiarazione d'intenti sottoscritta recentemente dai sindaci del nostro Cantone («un nuovo Patto di Locarno ticinese») e citando in particolare le nuove generazioni, Pini ha parlato di «educazione alla pace, impegno civile e voglia di un futuro migliore: Locarno è stata Città della pace e vuole continuare a esserlo, perché ce n’è ancora bisogno». A tal proposito, il capo dell'esecutivo locarnese ha citato i 61 conflitti al mondo che oggi vedono coinvolti degli Stati e un contesto globale in cui la fiducia «sembra sgretolarsi, il dialogo soccombere alla forza e la dignità alla violenza». Un contesto nel quale «quanto fatto a Locarno 100 anni fa assume ancora più rilevanza, bisogna alimentare l'Esprit di Locarno e i suoi valori».
In questo senso – ha concluso Pini, non prima di aver citato l'allora sindaco Giovan Battista Rusca ("che seppe gettare le basi per permettere a Locarno di fare qualcosa di grande per l'umanità") – deve esserci "la consapevolezza che anche noi possiamo fare la nostra parte. A Locarno ci sarà sempre posto per la riflessione, il dialogo e speriamo la pace".
In una giornata che ha ospitato anche le riflessioni del Cancelliere della Confederazione Viktor Rossi, del giornalista e saggista italiano Paolo Mieli e la proiezione del film di Jonas Marti “La città della pace. Locarno 1925”, il presidente del Consiglio di Stato ticinese Norman Gobbi ha dal canto suo evidenziato come la lettura della Storia quale «testimone dei tempi e maestra di vita» sia «particolarmente vera per il Patto di Locarno e la sua eredità», ossia la consapevolezza che se «affondiamo lo facciamo insieme e allo stesso modo se vogliamo riprenderci dobbiamo farlo insieme. Il senso di comunità espresso qui 100 anni fa rappresenta una stella polare che indica la via da seguire per evitare l’estinzione del genere umano e il Patto ci ricorda l’urgenza di un dialogo che sappia guardare oltre la vittoria e pensare anche al “nemico”», ha concluso Gobbi, non senza mancare di sottolineare come tale ragionamento valga anche a livello ticinese, a maggior ragione viste le sfide che attendono la politica ticinese (anche) dopo le recenti votazioni.