Paradiso: prestigioso premio nazionale per l’albergo sociale della Cooperativa Area, che occupa persone in difficoltà unitamente a professionisti
Sotto la copertina c’è tanta sostanza. Non che la prima non conti, perché porta visibilità, credibilità, lustro e per gli addetti ai lavori una conferma del grande lavoro svolto. Ma è la seconda che fa stato. Cerchiamo di spiegarci meglio: il “Bigatt”, albergo sociale della Cooperativa Area a Paradiso (e mai nome di luogo fu più aderente al contesto) si è portato a casa il premio nazionale più ambito in ambito alberghiero: è fra i 150 migliori hotel della Svizzera secondo Karl Wild & Anrin Willi Hotelrating e la Nzz Bellevue, distinguendosi inoltre nella categoria “migliori alberghi di vacanza a un buon prezzo”.
La valutazione però è indipendente, si basa sul giudizio di una giuria e non tiene conto di un enorme valore aggiunto della struttura, e cioè la sua appartenenza a una filosofia profondamente sociale, come il servizio reso alle persone che vi lavorano – per lo più beneficiarie di una rendita di Assistenza – che, sostenute da uno staff di professionisti dell’albergheria e della ristorazione, mettono in gioco fragilità, insicurezze e naturalmente anche talenti con l’obiettivo di reinserirsi stabilmente nel mondo del lavoro. Se consideriamo la società in cui viviamo, non è affatto cosa da poco. Anzi, è cosa da molto e lo è a maggior ragione nel settore alberghiero, dove spesso i ritmi e le dinamiche lavorative possono risultare decisamente impegnativi.
Di conseguenza, il piccolo miracolo del “Bigatt” consiste nell’offrire un servizio turistico, alberghiero e gastronomico di qualità, appunto fra i migliori in Svizzera, “nonostante“ il personale dell’hotel sia per metà composto da persone in difficoltà che svolgono un percorso di reintegro socioprofessionale, quindi non professionisti. Ma in fondo, per trovare una logica in questo apparente paradosso, ci basta invertire il paradigma: il servizio è tanto apprezzato “grazie” a questa particolare combinazione.
Lo sa perfettamente, per motivi anche molto personali legati alla sua propria carriera internazionale, il direttore, Lorenzo Steiger, che a “laRegione“ svela la ricetta: «Il punto centrale è cosa metti al centro. Qui da noi ci sono l’accoglienza e le persone, con le loro storie. Così facendo, le dinamiche cambiano. Nel settore alberghiero in genere i ritmi sono frenetici e si creano situazioni non facili da gestire. Ebbene, dentro tutto questo contorno, 5 anni fa è nata, e si sta tuttora sviluppando, l’idea di un progetto di reintegro professionale che dimostri una cosa fondamentale: rispettando, nei partecipanti, un equilibrio socioprofessionale anche in un settore dove la frenesia la fa da padrone, è possibile svolgere e offrire un servizio di qualità. Qui cerchiamo di ascoltare, capire e valorizzare. A fine anno anche noi dobbiamo portare dei risultati imprenditoriali positivi, ma scegliamo di ottenerli rispettando le nostre priorità».
È ovvio che in questa storia ogni tassello abbia trovato, nel corso degli anni, il posto giusto in cui stare. Lo è stato fin dal XII° secolo, partendo dalla masseria abitata di generazione in generazione da famiglie che l’hanno gestita fin quasi ai tempi nostri. «La svolta la si è avuta verso la fine degli anni ‘90, quando i padroni di allora erano venuti a mancare e non c’erano fondi per una profonda opera di ristrutturazione che si presentava come inderogabile – ricorda Steiger –. Ci ha pensato la Fondazione Crepaz Antonietti, presieduta dall’avvocato Fabio Stampanoni, la quale ha dato ossigeno alle idee che covavano nella Cooperativa Area, chiamata in causa nel 2012 per sviluppare un progetto sociale». Ristrutturazione poi avvenuta fra il 2017 e il 2020 e costata svariati milioni di franchi. Il risultato è oggettivamente strabiliante: una risposta concreta al rischio di una speculazione edilizia come non poche ne osserviamo lungo le pendici affacciate sul golfo di Lugano (e, in Ticino, non solo qui).
Ed è nel 2020, pochi mesi dopo l’apertura del “Bigatt”, che entra in scena Steiger con il suo bagaglio personale e professionale di cui si diceva: nato e cresciuto ad Ascona, liceo al Papio, Bachelor in Hospitality Management alla Scuola alberghiera di Losanna nel 2007, a Roma dal 2008 al 2009 con Boscolo Hotels, in seguito per 9 anni a Singapore (collaborando fra gli altri con DHM e Marriott) e poi fra Lugano e Andermatt dal 2018 al 2020 per la partenza del grande progetto di Samih Sawiris.
«Da queste esperienze ho potuto trarre degli insegnamenti. Credo in una filosofia aziendale che mette al centro i suoi dipendenti e non il profitto e l’ho trasferita in una in una realtà, come il “Bigatt”, che lo richiede di base trattandosi tra l’altro di un progetto no-profit e sapendo che altro non si fa, in questo modo, che generare un circuito virtuoso: tu di prendi cura dei tuoi impiegati affinché loro possano fare lo stesso con gli ospiti. A Paradiso, accompagnati dai professionisti, lavorano persone in difficoltà che desiderano rilanciarsi ma lo possono fare a determinate condizioni. Condizioni che qui vengono date, con risultati che sono lì da vedere: la struttura, con e grazie al suo modello alternativo di fare impresa, è considerata fra le migliori a livello ticinese e svizzero e per il quinto anno consecutivo ha conseguito piccolo un margine di profitto che viene poi reinvestito a favore del progetto di reinserimento socioprofessionale».
Paladino di “un certo modo di fare impresa” è Paolo Jauch, direttore della Cooperativa Area che con le sue 7 strutture attive sul territorio ticinese impiega e dà oggi speranze e obiettivi a circa 120 persone. «Il “Bigatt”, con “Belligreen” a Bellinzona (attivo nella raccolta rifiuti) sono in cima al percorso verso il reinserimento professionale. Le altre, finanziate dall’Ufficio invalidi tramite la Lispi, offrono percorsi alternativi – il negozio, la lavanderia, l’azienda agricola – per persone più in difficoltà».
Specificamente riguardo al “Bigatt”, «è strutturato come qualsiasi altro albergo – spiega Jauch – con l’aggiunta di un dipartimento in più che è quello degli orti. Ciò consente di fare tutto un approfondito discorso legato in primis ai prodotti locali: tutto ciò che si coltiva va in cucina, abbiamo solo vini ticinesi e di piccoli produttori e così per altri generi alimentari. Siamo per il rispetto dell’ambiente e del territorio, della stagionalità, e in tal senso a colazione il succo d’arancia non viene servito perché l’arancia in Ticino non cresce. In cambio ci sono il succo di mela, che è un prodotto “local”, o quello di albicocche quando maturano le albicocche, e così via, a scalare a livello svizzero, offrendo ad esempio solo la cola svizzera e non la Coca classica». Un altro atout riguardante gli orti «è a livello educativo – aggiunge il direttore della Cooperativa Area – con la dotazione di ulteriori spazi (anche fisici) a disposizione e gli accresciuti margini di manovra per assumere persone con differenti attitudini rispetto a quelle attive negli altri dipartimenti classici, che sono il ricevimento, la cucina, la sala (con il servizio) e le camere da letto».
In totale, nei diversi dipartimenti, c’è posto per 21 partecipanti alla volta, che sono accompagnati, nei 6 mesi di durata di ogni singolo programma, da collaboratori professionisti. Una regola del “Bigatt” è non assumere nessuno al termine del periodo di permanenza, proprio allo scopo di dare spazio sempre a nuovi periodi di formazione a favore di beneficiari dell’Assistenza, in collaborazione con l’Azione sociale del Dss, oppure quale appoggio all’AI (specialmente per percorsi di apprendistato che possono durare più anni).
A differenza di quanto succede nelle altre strutture, in quella di Paradiso la parte prettamente educativa è limitata alle figure dello stesso Jauch e di due consulenti (operatrici sociali) che sono anche le uniche finanziate dal Dss (per un totale del 150%). «Loro si occupano della parte educativa in appoggio ai professionisti: conducono il colloquio d’entrata, seguono il percorso del partecipante con un affiancamento e danno un sostegno ai professionisti. Sono questi ultimi a fornire un accompagnamento formativo ai partecipanti. Poteva oggettivamente essere un rischio, che abbiamo affrontato lavorando sia sull’affiancamento stesso (con una formazione interna) sia sul benessere».
Una selezione iniziale è necessaria anche per i professionisti: «Per portare avanti un albergo che si distingua per servizio e accoglienza, ma accompagnando nel contempo delle persone in difficoltà, serve una predisposizione – considera Jauch –. Al di là di questo, nel ruolo di hotel formatore che ci è riconosciuto facciamo di tutto per evitare situazioni di stress e favorire invece, appunto, il benessere. Ciò va incontro alle esigenze dei professionisti che si avvicinano alla realtà del “Bigatt”: tutti cercano un approccio meno economico e più umano al lavoro. Se crediamo giusto rallentare in un momento specifico non è certo per il fatto che siamo finanziati dal Cantone, ma esclusivamente in base alla nostra filosofia di lavoro».
Un dato significativo è che nella maggior parte dei casi i reinserimenti professionali dopo il “Bigatt” riescono: «Altrimenti – conclude Paolo Jauch – il percorso procede in un laboratorio protetto o altrove le persone possano trovare il posto giusto per loro».