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Docente Spai: ‘Il licenziamento? Giustificato e legittimo’

Il Consiglio di Stato prende posizione sul caso rispondendo a tre interrogazioni. Ma non entra nel merito delle ragioni, ‘c’è la protezione dei dati'

Le decisioni governative? ‘Confermate’
(Ti-Press/Archivio)
4 2025
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La decisione di licenziare l’ormai ex docente della Spai di Mendrisio era “legittima e proporzionata”. L’ha concluso il Tribunale cantonale amministrativo (Tram), pronunciandosi il luglio scorso sul ricorso dell’insegnante. E lo ribadisce oggi il governo cantonale, il quale, per la prima volta, dice la sua sul ‘caso’ del professore di elettrotecnica, Roberto Caruso. Lo fa, però, senza entrare davvero dentro le ragioni che hanno portato a rompere il rapporto di lavoro dopo 35 anni di attività. Per l’autorità cantonale a parlare, insomma, sono il verdetto del Tram e l’evocato articolo 60 della Lord (Legge sull’ordinamento degli impiegati dello Stato e dei docenti), che a detta del Cantone non necessita di “correttivi”. Oltre non si va: “Per ragioni legate alla protezione dei dati personali non è possibile indicare in modo specifico le ragioni che hanno portato il Consiglio di Stato (CdS) a sospendere e dare disdetta all’allora docente”. Vincoli dettati da privacy e segreto d’ufficio già richiamati nel corso dell’intera vicenda – a quel tempo sub judice – e che non hanno permesso, però, di avere la voce istituzionale del “datore di lavoro”. Salvo poi, a distanza di tempo, rimproverare oggi per le informazioni veicolate sin qui (anche dai media) e definite “fuorvianti, inaccurate o comunque solo parziali”. Una “dissimmetria”, si rincara, che ha “creato danno, poiché ha insinuato il dubbio che il Consiglio stesse agendo al di fuori delle norme”; ma “non è stato il caso”.

Spiegazioni attese

L’attesa per le risposte del CdS ai tre atti parlamentari depositati nel settembre dell’anno scorso era, dunque, tanta. Cresciuta in giudicato la sentenza del Tram – il docente ha rinunciato ad appellarsi al Tribunale federale –, ci si attendeva, insomma, che il governo – che ha confermato di condividere la linea seguita dal Decs – potesse chiarire il non detto. Quello stesso governo che nel dare seguito agli interrogativi di Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi, per l’Mps, Claudio Isabella (Centro) ed Evaristo Roncelli (Avanti con Ticino&Lavoro), e Andrea Sanvido e Alessandro Mazzoleni, per la Lega, adesso fa leva sulle parole dei giudici; i quali, sottolinea, hanno rigettato “tutte le contestazioni formali sollevate dal ricorrente” e mostrato “l’infondatezza della tesi sostenuta pubblicamente dal ricorrente di essere stato vittima di una sorta di “azione punitiva” del “sistema” nei suoi confronti”.

L’autorità pubblica – che si è sentita criticata “aspramente” – ora come in passato ha scelto, in effetti, di limitarsi a “fornire le informazioni ritenute sufficienti e adeguate per rispondere alle effettive e stringenti necessità informative del pubblico”, una volta soppesati diritto di informazione e tutela degli interessi pubblici e privati. Non di meno, il Cantone torna a ribadire la correttezza della prassi seguita – Caruso è stato prima ammonito, poi sospeso, due volte, e quindi licenziato – così come il rispetto del diritto di esprimersi e di essere sentito. Garanzia che dopo la prima sospensione, come rimarcato da una prima decisione del Tram, non era stata data.

‘Decisione soppesata’

In altre parole, la disdetta del rapporto di impiego, annota ancora il Cantone, “è frutto di una analisi dettagliata e ponderata”; ciò che è avvenuto, si ribadisce, “come confermato dal Tribunale”. Del resto, si rilancia dando seguito ai quesiti di Pronzini e Sergi, prima di procedere “il Consiglio di Stato valuta attentamente gli interessi dell’Amministrazione cantonale, in questo caso della scuola, e quelli del dipendente interessato, tenendo conto di eventuali sanzioni disciplinari pregresse, dei comportamenti e dei motivi per la decisione (art.60 Lord), della proporzionalità della misura e dell’eventuale possibilità di proporre soluzioni alternative”. Opzione, quest’ultima, si assicura, valutata “con dovuta serietà”. In conclusione, le ragioni invocate e ritenute motivate erano tali, si richiama, “da rendere difficile e non auspicabile la permanenza della persona interessata dal provvedimento sul luogo di lavoro”.

‘Un datore di lavoro serio’

Quanto basta per rispondere un secco “no” alla domanda di Isabella e Roncelli sulla necessità di aprire un’inchiesta amministrativa. D’altro canto, agli occhi del governo la sentenza del Tribunale certifica “la correttezza delle procedure adottate” e contribuisce “a consolidare l’immagine dello Stato del Cantone Ticino come datore di lavoro serio e corretto nel rispettare e far rispettare i diritti dei dipendenti pubblici, come pure nel rispettare e nel far rispettare i doveri di chi opera nelle istituzioni pubbliche, a favore della popolazione”. Tanto da confidare di poter consolidare “il già buon rapporto di fiducia” con i dipendenti e “rafforzare” la percezione dell’opinione pubblica, di fatto “promuovendo l’amministrazione cantonale come datore di lavoro”.

‘Le segnalazioni? Si è dato seguito’

Che ne è stato, però, avevano chiesto Sanvido e Mazzoleni, delle segnalazioni del docente sulle disfunzioni interne all’Istituto? Il Dipartimento, si fa sapere, ne ha preso atto e dato seguito. Con quale esito, si precisa, non è possibile indicarlo “per motivi di protezione dei dati”. D’altra parte, si aggiunge, nel verdetto “non è stata mossa alcuna critica all’operato del Decs”. Non solo, “sono stati fatti degli approfondimenti, sia da parte della direzione scolastica, sia da parte della direzione della Divisione della formazione professionale” e le richieste di attenzione a cui hanno dato voce pure gli allievi – di cui si è fatta portavoce Scintilla studentesca – “hanno trovato ascolto e hanno avuto seguito”. E ciò, si rimarca, “nonostante quanto asserito pubblicamente”. Il Collettivo, dal canto suo, ha confermato di attendere ancora una risposta alla sua ultima missiva.

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