‘Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo’. Curata da Elisabetta Chiodini, la mostra è aperta al Castello di Novara sino al 6 aprile
Cosa significa vedere un paesaggio? Significa attraversarlo, intuirlo, capirlo prima che scorgerlo. Significa sentirlo intorno, percepirlo come una parte esistente e prossima a noi; intenderlo come qualcosa impigliato nei nostri sguardi, dandoci e regalandoci occasioni di pensarci vivi, di essere anche noi un luogo: un paesaggio. Ho sempre trovato bellissimo l’accostamento tra due parole tra loro, foneticamente similari e significatamene lontane come, appunto, paesaggio e passaggio. Due termini che sanno come indicare una conseguenza, una possibile relazione. Un passaggio è sempre un ritrovamento, un’opportunità per andare da un’altra parte: oltre. Mentre un paesaggio è ciò che ci sta di fronte, che attende di essere attraversato, goduto. Il primo incontro è una sorta di relazione che avviene con il corpo. Il secondo incontro accade nella e con la percezione capace di trasformare ciò che accade negli occhi, in un’immagine che ne narri/riveli il suo possibile, come il suo impossibile magico realismo.
Il percorso che la curatrice Elisabetta Chiodini ci regala (presso il Castello Visconteo Sforzesco di Novara) è il suo modo di farci capire come “nell’Ottocento il paesaggio rinasce”, offrendoci scorci estatici di una natura prepotente e dolce insieme. Campiture in cui accade qualcosa. Dalle macchie di colore sorgono spazi ospitali a delle sensazioni si ergono narrazioni, esistenze, luoghi che fanno intravedere storie di vita concreta, perché evidente. Ogni paesaggio in realtà non ci dice mai nulla di nuovo rispetto a una sensazione che riconosciamo esserci già accaduta. E allora ecco ci troviamo al centro di un percorso che c’impiglia lo sguardo in primavere delicate e inverni abbaglianti, fino ad appassionarci in altre stagioni che domandano alla nostra sensibilità, il permesso di farsi immagini e inquadrature da ricordare. Qui la natura del Nord Italia si mostra nel suo tempo più esatto e romantico: l’Ottocento caro a pittori come - solo per citarne alcuni - Filippo Carcano, Giovanni Segantini, Giuseppe Cannella, Marco Gozzi, Giuseppe Bisi, Giovanni Carnevali (il Piccio), Giovanni Migliara fino Gaetano Previati, Angelo Morbelli e al grande Pelizza da Volpedo.
Sono oltre settanta i paesaggi esposti. Squarci di realismo che sanno come evidenziare le trasformazioni e le evoluzioni dell’idea stessa del paesaggio colte tra la Lombardia e il Piemonte, sfiorando la Liguria in una linea di tempo che va dal 1820, fino ai primi anni del Novecento. Qui cogliamo i passaggi/paesaggi dipinti all’interno di aree culturali differenti, che vanno dal Romanticismo, alla fase della Secessione, fino a giungere al Simbolismo, senza mai estrometterci dall’apertura culturale che il settentrione italiano ha saputo restituire attraverso queste opere guida.
Entrare in questo itinerario formato da nove stazioni tematiche, è come sfogliare un album capace di orientarci dentro sensazioni evidenziate dalle stesse pennellate degli artisti esposti: ognuno dal suo punto di vista, ognuno dalla sua luce, dalla sua tonalità. Voci che evidenziano, negli occhi di chi vede, scorci di realtà decantata lentamente in un’impressione, che ci conduce nella quietudine delle ombrature, delle macchie di vegetazione che sostengono corpi, oggetti, casamenti. Il Ponte sul Devero a Crevola di Marco Gozzi ci accoglie, ospitandoci subito nei soggetti appena citati. Villaggi colti nella loro gentilezza lontana si alternano a poetiche vette, mostrando una grandezza protettiva, riconoscibile, per giungere poi a terrazzamenti, campi e specchi lacustri dove la vita succede per lentezza e magnificenza invocata.
Lo scambio delle varie scuole pittoriche europee e i movimenti artistici negli anni Quaranta si fanno importanti: Monaco, Ginevra, Milano (Accademia di Brera). La borghesia che stava per diventare il nuovo punto trainante di una gradazione sociale, acquistava i paesaggisti, arredando le loro case, i loro uffici, le grandi stanze del potere finanziario e istituzionale.
Fondazione Otto Fischbacher - Giovanni Segantini
Giovanni Segantini, Mezzogiorno sulle Alpi, 1891, olio su tela, 77,5 x 71,5 cm
Questi pittori non erano solo semplici ritrattisti di paesaggi, ma autentici documentaristi, chiamati a mappare (ad esempio nel 1807 dal governo Napoleonico), i paesaggi lombardi in continua trasformazione, tracciandone e rivelandone le strade, i ponti e le fabbriche che da lì a poco, sarebbero diventati i nuclei trainanti di un’importante economia. Il paesaggio non è solo un romantico gesto, ma un luogo di luoghi capace di dimostrare un concreto attraversamento storico e sociale. Giuseppe Bisi ebbe così la prima cattedra di paesaggio all’Accademia di Brera.
Nuove tecniche pittoriche, addirittura una nuova strumentazione, sarebbero state necessarie per i pittori che avrebbero posizionato parti del territorio circostante, dentro dimensioni a portata di sguardi, come l’invenzione dei pennelli telescopici, strumenti a graffio di Filippo Carcano. Il vedutismo si trasforma (vedi Migliara) in dettagliate incursioni nel reale circoscritto, dove abbagli e lampi di luminosità estatiche si immergono nelle visioni esistenziali di gesti colti en plein air dalla tavolozza di Pellizza da Volpedo, fino ad Angelo Morbelli dove, macchie accese di colore, immettono negli strappi di una visione che si fa parlante: emozionante. Composizioni dove le unità di tono e le ombrature esatte delle luci si fanno cariche di scene e di situazioni che, lentamente, emergono per esprimersi dalle loro libertà (vedi G. Cannella - Veduta della laguna di Venezia presa dal Campo di Marte del 1938). La capacità di questi pittori fu inoltre rendere concretamente evidenti certi effetti di materia e di luce. Niente di tutto ciò che incontreremo in questa mostra sarà privo di emozione, sapendo bene che, vedere non è solo guardare.