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L’iperuranio terrestre di Arnaldo Pomodoro

Dall'oreficeria alle sfere monumentali di purezza e tecnologia, uno sguardo sull’artista scomparso domenica

(keystone)
24 giugno 2025
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Nel 1990 Arturo Carlo Quintavalle, direttore del Centro di studi e archivio della comunicazione sull’arte contemporanea dell’Università di Parma, insisteva sull’equivoco nel quale si era intrappolata la critica d’arte, considerando e valutando l’opera di Arnaldo Pomodoro solo a partire dagli anni Sessanta. L’equivoco individuato da Quintavalle impediva di considerare correttamente l’importanza del lavoro di questo artista, nato nel 1926 e cresciuto nelle Marche, nell’ambito della oreficeria, del cesello in piccole dimensioni di oggetti all’interno dei quali la luce generava vibrazioni interagendo con il frastagliatissimo trattamento imposto alla materia.

Succedeva con i monili, le spille e in particolare gli anelli che si atteggiavano a minuscoli monumenti digitali; succedeva con le tante versioni di ‘Scatola’, contenitori simbolici di una memoria che si esprimeva in miniature di paesaggio, in segni esumati da una memoria archeo-atavica, in scritture frammentarie. Ritroviamo valori espressivi e plastici analoghi anche nella produzione scultorea di quel periodo, con modalità varie, per esempio nella scultura ‘Studio’ del 1957, della quale esistono una versione in piombo e una in bronzo e le dimensioni sono più o meno di 15x25x6 cm. Quintavalle scriveva: “Nel decennio Cinquanta sono da ritrovare le matrici delle sue ulteriori scoperte, non solo, ma credo che anche la sua produzione di questi anni sia senza alcun dubbio, e a livello europeo, del massimo interesse”.

È così e l’interesse sta anche nel fatto che gli aspetti più efficaci di quei lavori di piccole dimensioni, una volta trasferiti nella gigadimensione delle sculture note in tutto il mondo, perdono la loro virtuosa delicatezza e trasferiscono la ricerca nel tentativo di monumentalizzare la dialettica tra la forma geometrica limpida e cristallina (la sfera, la piramide, la colonna) e un brulichio interno, seminascosto, visibile a causa di una deflagrazione o di una lacerazione del corpo esterno.

Con lo sviluppo del lavoro nella scultura, Arnaldo Pomodoro persegue il proprio tentativo di indagine sulla relazione tra spazio e tempo, tra unità di un oggetto e di frammentazione del reale, tra materia viva e vibrante e il suo portato, apparato concettuale. Riferendosi al magistero di Paul Klee, da una parte, per il ruolo attribuito al segno nell’economia dell’espressione; a quello di Umberto Boccioni per l’impeto dinamico imposto al segno e al suo ruolo nello spazio della composizione artistica, Arnaldo Pomodoro cerca di porre il proprio lavoro agli antipodi di quello di Constantin Brancusi o meglio di mostrare come una forma linda e lineare possa nascondere un mondo indecrittabile e misterioso, la cui parte maggiore è occultata dalla parziale parte leggibile.

Vi è anche una componente storica, o meglio storiografica nel lavoro di questo artista che ha militato negli schieramenti socio-politici e nella politica dell’arte e al quale, insieme al fratello Giò più giovane di lui, Lucio Fontana aveva tributato un deciso riconoscimento. Fontana gli riconosceva l’impegno nella indagine spaziale e nella ricerca di cosa la lacerazione della superficie di un oggetto unitario (per esempio una sfera) potesse attivare in termini espressivi. Pomodoro, del concetto di spazio, ha avuto presente anche l’accezione geografica e molti suoi oggetti si atteggiano come se fossero meteoriti in parte puri e in parte squarciati sulle loro componenti tecnologiche. Il lavoro ‘Grande omaggio alla civiltà tecnologica’, murale di 24x8 metri prodotto per l’Università popolare di Colonia in Germania, esprime anche nel titolo questa ambizione di accogliere una forma espressiva che viene dall’iperuranio con un linguaggio che contemporaneamente evoca l’universo del macchinario tecnologico e le terrestri impronte di passaggi lungo la storia.