Un racconto corale, emozionante e imperfetto, ‘Irkalla Hulm Jijiljamish’, che nasce dalla grande stagione desichiana del 2° dopoguerra
Ci sono film che affascinano per il linguaggio, altri per il coraggio che hanno nel raccontare storie che fanno male, altri ancora che hanno la forza di essere faticosamente fatti in cerca di uno schermo, e questo è il caso di un grande film, imperfetto, ma importante com’è ‘Irkalla Hulm Jijiljamish’ (Irkalla - Gilgamesh’s Dream) del regista iracheno Mohamed Jabarah Al-Daradji. Perché imperfetto? Perché non poteva essere perfetto un film fatto a spezzoni per sei anni, lavorato con coraggio ma in difficoltà spesso insopportabili, con gli attori che sono orfani usciti dall’orfanotrofio, con scene delle cruente battaglie nella Bagdad del 2019 girate sul posto. Questo film è imperfetto come lo può essere un fiore che per questo non è meno bello.
È un film che nasce dalla grande stagione desichiana del secondo dopoguerra italiano, film girato tra le macerie, tra i morti nelle strade, film che regala sogni ai bambini, film che il regista e suoi presenti alla conferenza stampa hanno dedicato ai bambini di Gaza. Perché chi soffre non dimentica chi soffre.
Mohamed Jabarah Al-Daradji ci porta a Bagdad per farci conoscere una piccola comunità di bambini che sopravvivono vendendo lattine recuperate per la strada o rubando i portafogli a qualcuno sbadato. Il loro capo è Moody, il più grande, quello che è stato in prigione e che ora aiuta i ribelli dell’Isis, che fomentano le battaglie per le vie della città. Moody ha a cuore il piccolo Chum-Chum, diabetico e sognatore, che sulla riva del Tigri immagina che Gilgamesh, il re dei re dell’antica religione mesopotamica, lo conduca alla porta di Irkalla, l’Aldilà, da dove può riportare in vita i genitori uccisi dall’Isis. Ha una sorella che vive in una casa di prostituzione. Moody promette a loro due di portarli in Olanda, ma nello stesso tempo finisce in guai che lo fanno odiare dai due, vende la sorella del bambino alla padrona del postribolo e fa uccidere uno degli orfani. Per Chum-Chum che in un vecchio barcaiolo vede Gilgamesh, non resta che chiamare l’antica divinità Lamassu: era questo Dio a proteggere Bagdad e i suoi abitanti.
Il film è un bel racconto corale, emozionante e commovente. C’è spazio anche per una maestra cui l’Isis ha ucciso figli e marito e che si dedica all’educazione degli orfani e a rifocillarli. È una delle più potenti figure viste in questo Festival, una grande attrice: Samar Kazem Jawad. Gli applausi sono più che meritati.