‘Auord’ a parte, pregi e difetti di un Festival del film globalmente convincente
Le rituali dichiarazioni di entusiasmo osé delle trinità locarnese, Hoffmann, Brunschwig, Nazzaro, oggi somigliano meno del solito alle foto profilo ritoccate dei social, o ai panorami mozzafiato delle vacanze immaginarie dei professionisti della felicità virtuale. Quello che ho vissuto, ma che, mi pare, hanno sperimentato in molti, è un Festival del film globalmente convincente. La prima settimana è stata frequentatissima, lo dicono i numeri, lo testimonia il desiderio di confronto che, fuori dalle sale, prendeva il sopravvento sul via vai di rotondisti sfegatati, che quest’anno poco hanno intralciato il cammino di chi non aspettava il buio per cercare un’esperienza culturale. I film di alto livello non sono mancati, in tutte le sezioni. E così, accanto ai documentari della Settimana della critica e alle sezioni dei cortometraggi, che raramente deludono i cultori del genere, sono state diverse le sorprese positive, sia nella retrospettiva, sia nei film fuori e dentro i concorsi.
Per quelli come me, che hanno sentito l’arrivo del 6 agosto con una certa stanchezza, frutto di diversi anni tiepidi come un caffè lasciato lì, è tornato a essere triste il commiato da Locarno, c’è persino un fa diesis di entusiasmo. Verrebbe voglia di chiedere l’abbassamento del costo degli abbonamenti, perché i molti che hanno piluccato dal grappolo Festival, potrebbero essere conquistati da un prezzo più abbordabile. Verrebbe voglia di chiedere che si continui così, anzi, che si creda ancora di più nei premi e negli auord, perché finalmente, grazie a Emma Thompson e a Lucy Liu, i frequentatori della piazza hanno potuto trovare una continuità tra la consegna del pardo e il film proiettato. Se poi i riconoscimenti fossero sparpagliati in numero minore, il prestigio lieviterebbe, diventando un onore, e non una tappa, come nel caso di Alexander Payne, prossimo presidente della giuria, verso Venezia. E allora, perché no, le serate potrebbero tornare a essere meno lungagginose, (non mi riferisco a venerdì, grazie Panahi), tanto che una programmazione in seconda serata tornerebbe ad allietare gli allergici alle calche sudazionate dei concerti post-sanremesi o etnici. A volte il palco della piazza risultava internazionale solo nella babele di lingue, e i Caronti fin troppo festivi festivalbar: com’è stato lavorare con una regista che è anche attrice, come si è sentita nel ruolo di mamma, che cosa ha provato quando ha scoperto la fragola nella panna.
Un altro dei successi di quest’anno è certamente stato l’accordo con le ferrovie, che ha tolto quasi tutto il lavoro ai poliziotti a cottimo, che si sono vendicati sul mio povero ciclomotore per far quadrare i conti. Resta invece aperta la questione concorso ufficiale - cineasti del presente, gemelli siamesi separati con un’operazione frankensteiniana, composti da film che spesso potrebbero essere dall’altra parte, senza sfigurare. Un solo concorso solido, forse, ricoprirebbe di ciliegie la torta. Ma, si sa, le orecchie della trinità alla guida del Festival sono occluse dai voli in alta quota, in cerca delle stelle da far rimbalzare su Locarno. C’è chi dice in giugno, chi in luglio, c’è chi dice no.