Incontriamo Stefano Cordella, al suo debutto registico al Lac con ‘Improvvisamente l'estate scorsa’ di Tennessee Williams, prima assoluta il 28 aprile
È uno dei testi più autobiografici e violenti del cantore del Sud, Tennessee Williams, quello che verrà presentato a Lugano lunedì 28 aprile alle 20.30 (in replica il 29 aprile), per la regia di Stefano Cordella. ‘Improvvisamente l’estate scorsa’, produzione Lac, racconta la tensione tra due mondi, mette in scena il mistero di un’estate e le diverse implicazioni che ne derivano. Il tutto in un lussureggiante giardino carico di simbologia a tratti cristica, e grazie a un’analisi che sia il drammaturgo nel 1958 quanto il regista oggi mettono in atto in maniera raffinata.
Sembra esserci tutto Williams in questo testo drammatico: l’infanzia dorata a Columbus in casa dei nonni materni, la difterite che lo costrinse a letto per due anni, la violenza del padre e la sua derisione verso questo ragazzo letterato ed effeminato, l’amore per la sorella Rose, il trasloco a Saint Luis e il lavoro in fabbrica, l’università e la scrittura, la sua professione. E poi, la lobotomia della sorella, la difficoltà ad affermarsi, in quanto scrittore e in quanto omosessuale, la psicoanalisi e la conversione religiosa. Il testo narra del difficile racconto delle vacanze di Mrs Violet Venable e Catherine Holly, rispettivamente madre e cugina di Sebastian Venable, morto su una spiaggia nel Sud della Spagna. La reazione di Catherine è tale da necessitare l’intervento di uno psichiatra, che indaga ai fini di proteggerla. A ridosso delle ultime prove, abbiamo incontrato Cordella.
Come leggere ‘Improvvisamente l’estate scorsa’ oggi? L’opera non è conosciuta come altre di Tennessee Williams, ma è fortemente caratterizzata da riferimenti autobiografici. La società è davvero cambiata rispetto al 1958 per affrontare determinati temi?
I tempi sono cambiati, ma la tematica della rielaborazione del dolore e del rapporto con la violenza rimangono attuali, anzi oggi hanno echi ancora più inquietanti. In questo testo la violenza è portata all’estremo, tutti i rapporti lo sono, il racconto finale di Catherine è intriso di violenza. Riproporre oggi un testo così, che come dici non è tra i più famosi, è interessante per rapporto tra realtà e sogno, o incubo. È come se Williams, che è comunque sempre autobiografico nei suoi testi in questo lo sia stato particolarmente, qui scarica tutto il suo dolore, fin dalla descrizione della didascalia iniziale. Ma poi, quel che accade è l’effetto catartico. Questa visione è molto contemporanea, è come se avvenisse una seduta di psicoterapia. E Tennessee Williams lo fa in modo raffinato ed estremamente vitale.
Cosa ha significato per te metterlo in scena?
È stato affascinante, ci lavoriamo da un anno. L’idea è nata anche da un dialogo con Carmelo Rifici che conosce il mio amore per Williams, e, anche considerata la mia formazione di psicologo, ci sembrava perfetto da affrontare ora. Anche perché in realtà l’operazione raffinatissima che fa Williams nel suo testo è far agire la violenza in forma di metafora. Il racconto finale di Catherine mette in scena il grande Non detto. Tutto il testo è un movimento per arrivare a quel punto finale, tutto il sommerso, il nascosto, il rimosso, anche di Williams. Tutte le sue frustrazioni, che non poteva sfogare in quegli anni, legate alle sue difficoltà relazionali. Come se ci raccontasse un incubo in diretta, e con le capacità che ha lo analizza.
Mi hai parlato di seduta psicoanalitica, e ci sono due caratteristiche in ‘Improvvisamente l’estate scorsa’ che iscrivono l’opera nel solco della creazione del drammaturgo e che in effetti hanno richiami analitici. Una è l’aspetto di nostalgia per un passato quasi irreale, arcadico della sua infanzia, solitamente rappresentato da figure femminili adulte, come Violet, che in qualche modo ricordano la sua stessa madre (madre che peraltro Tennessee non perdonò mai per aver sottoposto la sorella Rose alla lobotomia); l’altra è il suo sguardo su una violenza espressa oggi in maniera così forte che ha radici in una lotta interna iniziata nell’infanzia tra le sue aspettative e le sue più grandi paure di non riuscire. Nel periodo in cui scriveva questa opera, Tennessee Williams vedeva il suo analista quotidianamente.
L’analisi va a interagire negli anni in cui scrive ovviamente. Ma quello che dirà dopo la terapia però è: “Mi è stata utile, ma quello che rimane davvero è la scrittura”. Non ha avuto una vita semplice, e per lui scrivere era la cura. La catarsi di cui parlavo prima: butto fuori tutto e scaccio i mostri per un po’.
Il dramma racconta della cruenta fine di Sebastian, giovane scrittore omosessuale. È difficile non ricordare Pasolini. Quanto ha influito la figura dell’intellettuale nella tua rielaborazione dell’opera?
Non ho pensato a Pasolini nella messa in scena, anche se chiaramente nella scena finale risuona. C’è qualcosa di lui nel mio lavoro insieme agli attori, nel costruire dei caratteri che siano il più umani possibile. Il tentativo che ho fatto, insieme al meraviglioso cast che ho avuto la fortuna di dirigere, è stato quello di arrivare all’osso dell’umanità, entrare nelle viscere, cercare di essere il più onesto possibile nel raccontare l’emotività e le contraddizioni dei personaggi.
Parliamo ora della scenografia; è difficile non immaginare la pièce immersa nel lussureggiante e simbolico giardino della villa di Violet.
La descrizione del giardino nella didascalia iniziale dell’opera colpisce chiunque. Ha riferimenti alla cristologia, alla creazione. Già lì ho raccolto una serie di indizi che poi abbiamo ‘lavorato’ con lo scenografo Guido Buganza, il sound designer Gianluca Agostini, la costumista Ilaria Ariemme. Abbiamo scelto di non rappresentare realisticamente il giardino. Si parla di piante carnivore, di questa giungla che Sebastian ha creato per sé stesso. Raccontiamo la natura e la vegetazione che incombono dall’alto come se potessero mangiare lo spazio. Parlavi di simboli: abbiamo un elemento che a un certo punto verrà scoperchiato e diventerà il fulcro della tensione dei personaggi.
Il testo è proposto in una nuova traduzione, di Monica Capuani.
Williams è molto attento alle parole che usa. Ci sono tante cose che tornano tra le parti del testo, che si trasformano a disegno, e devo dire che questa nuova traduzione ci ha permesso di entrare più nella carne del testo. È stato molto importante avere parole concrete.
Un testo rappresentato molto poco, ma che in questa produzione del Lac ha la fortuna di avere un’attrice e un attore che già negli ultimi venti anni lo hanno portato in scena.
Sì, Laura Marinoni (Mrs Violet Venable, ndr) ed Eduardo Ribatto (il Dott. Cukrowicz, ndr). È stato molto bello sentire anche il loro punto di vista. Laura è stata generosissima nel portare la sua esperienza e metterla al servizio del lavoro di Leda, che ha creato una Catherine molto interessante!