Il Tennessee Williams di Stefano Cordella: a proposito di ‘Improvvisamente l’estate scorsa’, a Lugano lo scorso lunedì
La trama è presto detta, di ritorno dalle vacanze con il cugino Sebastian, Catherine sembra impazzita: sull’improvvisa morte di Sebastian avvenuta a Cabeza de Lobo, sembra costruire una fantasia da incubo. Zia Violet, madre adorante di Sebastian, tenta in tutti i modi di far valere la sua versione, molto più dignitosa. Un medico psichiatra che si fa chiamare zuccherino, è intenzionato a far luce sulla questione, c’è di mezzo una lobotomia. Il tutto nel giardino lussureggiante di una nobile villa di New Orleans.
La didascalia iniziale di Tennessee Williams campeggia in sovrimpressione, il regista Stefano Cordella ha scelto di mantenerla per intero e di restituirla così anche a noi, che questo spettacolo non lo leggiamo ma lo guardiamo. Non ne va persa bellezza e intensità. La chiave di lettura è così fornita e noi ci immergiamo idealmente in quel giardino selvaggio e lussureggiante, dove la flora è invadente, e immaginiamo stridire di uccelli fastidiosi e minacciosi, gli stessi che poco dopo ascolteremo divorare piccole tartarughe nella loro prima corsa verso il mare.
La natura selvaggia richiama quanto di più selvatico è insito nelle profondità umane, e non solo in ‘Improvvisamente l’estate scorsa’, al Lac lunedì scorso. La pièce mira a rispecchiare, scoperchiare e forse catarticamente risolvere anche quel turbine incontrollato insito nelle viscere dell’autore.
Non per nulla Dio viene cercato e chiamato proprio negli istanti più difficili, in questo spettacolo – che assume presto i contorni di un incubo, come possibile risposta a profonda inquietudine. Dio che forse è anche tutto quel bianco che si impone poi nelle scene più cruente, e che colora la Ferrari sfasciata e abbandonata in mezzo alla scena – che invoca forse il protagonista, ma che poco ha di selvatico.
Il nostro essere selvaggi, fatto assodato e mai purtroppo risolto, è ben affondato in noi, nascosto e tenuto a bada, represso sotto la rassicurante coltre di vita quotidiana. Non lo è per Tennessee in questa pièce così autobiografica, non lo dovrebbe essere per i personaggi in scena, che sembrano sì, belve, anime in pena tra i dannati alla ricerca di una via di fuga senza troppo margine di controllo e molte urla, ma che allo stesso tempo non sempre restituiscono al pubblico l’impulsività della reazione e la verità della relazione che questo stato animale imporrebbe. Molto intense e brave Leda Kreider, selvatica nel ruolo di Catherine, e Laura Marinoni quasi divina come Lady Venable, in questo thriller psicologico dove vittima e carnefice son dichiarati dal principio, poco margine al dubbio, e dove si viene accompagnati nella discesa agli inferi da sonorità quasi meditative e cosmiche. Forse la chiave di lettura di Cordella sembra proprio annidarsi qui, in questo linguaggio onirico e ipnotico, in un realismo distrutto e devastato a scapito della purezza simbolica, in un racconto che si snoda attraverso anime perse che invece di interagire sembrano vagare a oltranza nella propria ossessiva visione.