laR+ Venezia 82

La voce di Hind Rajab

Gli audio della bimba palestinese uccisa dall'esercito israeliano dentro un'auto durante l'invasione di Gaza sono un film. ‘Per resistere all'amnesia’

Motaz Malhees
3 settembre 2025
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Si sta svuotando il Lido, come ogni festival che si raccomandi, ma se Cannes termina il giovedì, qui è da martedì che senti giorno e notte i trolley correre verso gli imbarcadero. La Mostra finisce, e senza mercato finisce prima. Restiamo noi, comunque, e i film che ancora numerosi mancano al Concorso. Il pieno si ha nelle farmacie, il problema delle sale a gradi invernali e dell’esterno da forno è risolto con varie medicine. Intanto il Concorso segna uno dei suoi favoriti al Leone d’Oro con ‘The voice of Hind Rajab’ della regista e sceneggiatrice tunisina Kaouther Ben Hania, un film basato su uno dei più potenti drammi della nostra società, quello che racconta la morte di una bambina di sei anni, Hind Rajab, intrappolata in un’auto sotto attacco dei carri armati israeliani a Gaza. Il film si basa sulle reali conversazioni tra la bambina, chiusa in un’automobile con dentro accumulati i cadaveri dei suoi parenti, colpiti a morte dal bombardamento di un carro armato israeliano. Lei, più sopravvissuta che impotente, implora di essere salvata da un gruppo della Mezzaluna Rossa, che si attiva inutilmente, viste le ambulanze distrutte nei vari traguardi esposti nel film.

‘Un dolore universale’

In ‘The voice of Hind Rajab’, il senso di impotenza si trasferisce, grazie al preciso dettato della regista, al pubblico in sala, incapace però di comprendere il grido della bambina. Anche a Venezia in pochi hanno voluto capire, limitandosi a celebrare con un toast non farcito la rinuncia a riconoscere un film reale. Lei, Kaouther Ben Hania, non crea un martire: Hind Rajab, non è una bambina eroica, è una vittima della crudele violenza dell’esercito israeliano, che non contento di aver massacrato un’innocente famiglia, bombarda l’ambulanza che cerca di andare a salvarla. Il film non alza bandiere ideologiche, alza invece alto il suo grido di impotente richiamo a una giustizia non governata. Applausi meritatissimi da parte di un pubblico commosso e cosciente del peso che devono subire Gaza e i suoi bambini da parte di un esercito che ha dimenticato la sua dignità. Scrive la regista: “Questa storia non riguarda solo Gaza. Parla di un dolore universale. E credo che l’invenzione narrativa (soprattutto quando trae spunto da eventi verificati, dolorosi e reali) sia lo strumento più potente del cinema. Più potente del rumore delle ultime notizie o dell’indifferenza dello scrolling. Il cinema può preservare un ricordo. Il cinema può resistere all’amnesia”.

Non oltre la superficie

Sempre in Concorso è passato ‘Duse’ di Pietro Marcello, occasione persa in cui il regista si dimostra inadeguato al tema. Nel film non c’è amore per la protagonista, né comprensione, se non oé pretesto per infarcire il film fino alla nausea di immagini tratte dal documentario ‘Gloria. Apoteosi del Soldato Ignoto’ e per irridere a Mussolini, D’Annunzio e a Memo Benassi, e per trasformare in rotocalco la vicenda tra la Diva e la figlia. Pietro Marcello resta alla superficie dei personaggi e della Storia, annoia di fronte a temi fondanti della storia italiana. C’è in lui un’idea vecchia di cinema che disturba, e si resta in silenzio ad aspettare un’idea. D’altra parte, la scelta di un’attrice come Valeria Bruni Tedeschi per il ruolo della protagonista è infelice per il di lei non riuscire a essere mai altro che non sé stessa. Essere la Duse non vuol dire creare la solita macchietta, ma andare a fondo nella complessità di un personaggio di cui il Vate disse, dopo la morte di lei: “È morta quella che non meritai”.

Nelle mani del Sommo

Toccare un personaggio storico riesce meglio a Julian Schnabel che nel suo ‘In the Hand of Dante’ riesce a mettere insieme con dignità il Dante Alighieri della Divina commedia con Nick Tosches (Newark, 23 ottobre 1949 – Manhattan, 20 ottobre 2019), scrittore che si interessò al Ghibelin Fugiasco. Il film sorprende per l’intelligenza della scrittura, per la sapienza cinematografica, suda cultura e regala emozioni, diventando uno dei film più interessanti di questa Mostra. Qui si racconta di Dante che scacciato da Firenze trova rifugio nella Verona scaligera, nella Venezia dei dogi e in quella Ravenna che gli fu fatale; nello stesso tempo, ai nostri giorni incontriamo Nick Tosches che viene coinvolto in una violenta ricerca per confermare le origini di un manoscritto ritenuto essere la Divina Commedia di Dante, scritto di pugno dal poeta. Tosches riesce a ottenere il manoscritto grazie all’appoggio di un killer di un potente mafioso che, possedendo tra l’altro un brutto Rembrand, vuole aumentare il proprio portafoglio con l’antico poema. Confida il regista: “Nella lotta per la perfezione nell’arte, le nostre vite possono essere meno che perfette – persino afflitte dal fallimento –, ma tutto ciò che esiste al di fuori dell’opera d’arte non esiste. L’obiettivo è diventare poesia. Dante e Nick ci sono riusciti, io ci sto ancora lavorando. Tutto ciò che ho davvero da dire è nella mia arte”. La commedia è stupenda e di sorprendente cultura e intelligenza; bravo l’intero cast, tra cui Oscar Isaac, Gal Gadot, Al Pacino, John Malkovich, Martin Scorsese e Franco Nero. Questo è cinema.