laR+ Venezia 82

Il Concorso e le sue ferite

Si chiude con il crudele ‘The sun rises on us all’ di Cai Shangjun, il poetico ‘Silent Friend’ di Ildikó Enyedi e il presuntuoso Franco Maresco

Silent Friend
5 settembre 2025
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Minaccia di pioggia, umidità a mille, eserciti di zanzare e vespe in azione. Il Festival – no, la Mostra – si chiude rifugiandosi nella morte di Giorgio Armani perché si ha paura del cinema. Quello che sorprende, qui al Lido, è l’alzata di scudi contro il film tunisino che mette in mostra la tragica ed evitabile morte di una bambina palestinese. “Ma è cinema?”, mi apostrofa uno, e ci si accorge che la ferita aperta per quanto succede a Gaza è stata subito suturata, altrimenti come fai a bere un aperitivo?

Ma non sempre si può bere un aperitivo per vivere, ce lo ha mostrato in competizione il crudele ‘Ri gua zhong tian’ (The sun rises on us all), film cinese di Cai Shangjun che sorprende per la facile e drammatica semplicità del suo dire di una 35enne Meiyun (una grande Zhilei Xin), proprietaria di un negozio economico di vestiti, nel supermercato di una qualche città in Cina. Sembra contenta in superficie, ma subito scopriamo che ha una gravidanza difficile, che ha un uomo sposato come amante e un altro uomo che lei accudisce perché ammalato di cancro. Manca solo che la giovanissima figlia dell’amante si tagli le vene vedendola con il padre. Il film scopre le carte con decisa lentezza, fino a farci capire chi era, in realtà, l’uomo malato…

‘Ri gua zhong tian’ è un film che straborda di fallimenti amorosi e che nello stesso tempo mostra la fragilità economica cinese e insieme una libertà di pensiero e morale ignota oggi in Europa. Ne esce fuori il ritratto, sempre teso, di un crescere adulta, di una fragile creatura svogliata nel crescere. Sotto certi aspetti questo è un melodramma datato, su altri un grande film sull’oggi con una capacità espressiva a noi lontana. Il film ci regala momenti di gran cinema.

All’ombra di un ginkgo biloba

Lo stesso lo fa ‘Silent Friend’ dell’ungherese Ildikó Enyedi, una regista incapace di zittirci di fronte alla nostra decadenza. Qui lo fa seguendo il destino di una donna, che si riflette con quelli che nei secoli la seguiranno all’ombra di un maestoso ginkgo biloba eretto nel cuore di un giardino botanico di una città universitaria medievale in Germania. Ildikó Enyedi ci mostra la sua eroina mentre risponde seria alle nascoste libido di un gruppo di insegnanti del suo ottocentesco collegio, poi mentre impara la fotografia e infine mentre sfida i giovani colleghi in un viaggio nel lontano Oriente. Da lì viene un botanico cinese in cerca di scrivere un libro sulla sessualità dei ginkgo biloba. E tra le due storie si intromette una con un giovane incapace di amare e una ragazza, che vorrebbe essere sua, che ama scoprire la sensibilità dei gerani. È questo un film magico, che ti riconnette alla mancata esperienza con il mondo vegetale, insieme a un’esperienza cinematografica rara, da ricordare e far crescere. Magica è l’interpretazione di una sempre brava Léa Seydoux, ma tutto il corpo degli attori è da applausi. Questo film è emozionante e commuovente parente evidente della vita.

Non è fatto per Bene

A oscurare l’ultima giornata ci ha pensato, sempre in concorso, il presuntuoso e vecchio ‘Un film fatto per Bene’ di Franco Maresco. È, questa, una delle cose autocelebrative della vetusta televisione italiana, un opprimente tentativo di essere attuali da parte di uno zoppicante dinosauro che si è dimenticato a casa un bastone. E gli iloti ridono trovando ancora ludico piacere nella peggiore televisione. Mentre la sala si è svuotata prima della fine dello spettacolo. Lui non è venuto a Venezia in conferenza stampa, forse era faticoso rispondere a qualche domanda sui soldi spesi sul suo nevrotico delirio, ma non mancheranno gli ascari a difenderlo. Cita inutilmente Pasolini. Che oggi comunque ci manca, lui il poeta di Casarsa, delle borgate, che sono ormai in ogni città, e quelli che vogliono usarlo come vate spaventano.

‘Songs of Forgotten Trees’

Ben più pasoliniano è, fuori concorso, il film indiano ‘Songs of Forgotten Trees’ di Anuparna Roy, un emozionante ed elegante film sul destino di due giovani donne che si trovano a convivere nello stesso miserabile appartamento dove una, in attesa di diventare attrice famosa, si prostituisce mentre l’altra, che lavora come telefonista, cerca negli annunci un uomo da sposare.

Tutto cambia quando le due donne si guarderanno in modo diverso, accettandosi per cambiare.

Un film che non vincerà forse un premio ma che ha lasciato un segno indelebile in chi l’ha visto.