È il filo rosso della giornata, dalla confusa opera prima di Shu Qi a ‘Elisa’ di Leonardo Di Costanzo al disegno animato di Mamoru Hosoda
Venezia 82 sta chiudendo il suo Concorso. Mai come quest’anno la corsa ai Leoni si è mostrata così indecifrabile, è mancato il film veramente catalizzatore e il fatto che molte opere siano di casa Netflix ha pianificato in basso qualsiasi proposta di nuovi linguaggi cinematografici. Abbiamo pensato a questo mentre guardavamo, fuori concorso, nella sezione Classici, ‘Memoria de los olvidados’ dello spagnolo Javier Espada, uno dei massimi conoscitori e divulgatori del Sacro Verbo Luis Buñuel. In questo film, Espada analizza una delle opere maggiori del Maestro di Calanda, quel ‘Los olvidados’ (I figli della violenza) diretto da Buñuel nel 1950 e iscritto nel Registro della Memoria del Mondo dall’Unesco.
Riscoprire il lavoro di Buñuel riporta alle origini del dire cinematografico, a una qualità oggi impensabile, al fare cinema come Arte. E il risveglio in sala Darsena con il film di Taipei ‘Nühai’ (Girl) opera prima dell’attrice, ora regista Shu Qi, è da incubo. Un film confuso, dimentico di ogni idea narrativa, mal recitato, mal scritto, con una sceneggiatura piena di buchi e una fotografia senz’anima. Peccato, ma un merito almeno il film lo ha: introdurre un tema, quello del perdono, che è il filo rosso della giornata.
Lo scopriamo in ‘Elisa’ di Leonardo Di Costanzo, coprodotto tra Italia e Svizzera e parlato in francese. In un carcere femminile modello, circondato da boschi dove le detenute sono libere di passeggiare, incontriamo Elisa (una intensa Barbara Ronchi), di trentacinque anni e in carcere da dieci, condannata per avere ucciso la sorella maggiore e averne bruciato il cadavere, e per aver tentato di bruciare anche la madre, senza motivi apparenti. Vive una routine di lunghe passeggiate e un lavoro alla caffetteria del carcere, intervallati dalla visita del padre. Sostiene di ricordare poco o niente del delitto, non ha parlato neppure in tribunale. Canta nel coro del carcere e ha accettato di incontrare il criminologo Alaoui (un bravo, come sempre, Roschdy Zem) e partecipare alle sue ricerche, tese a scoprire le motivazioni recondite di un atto criminale, convinto di un soggettivismo che mai deve essere generalizzato. È il tentativo di aprire la strada a un perdono verso sé stessi. Il loro rapporto è complesso e porta Elisa a una crisi che li allontana, ma che serve a lei per togliersi l’alibi del non ricordare.
Quello di Di Costanzo è un film interessante come tematica, un po’ meno come linguaggio, nonostante la bella fotografia di Luca Bigazzi. Interessante notare che è il secondo film in corso quest’anno in cui vengono portate sullo schermo donne capaci di storie criminali. Era successo anche in ‘La grazia’ di Sorrentino.
Del perdono parla, fuori concorso, il bel disegno animato giapponese ‘Hateshinaki Scarlet’ (Scarlet) del premiato regista Mamoru Hosoda, un film che è un viaggio agli inferi con una Euridice che lascia dietro di sé il suo aedo Orfeo. Qui incontriamo Scarlet, principessa medievale ed esperta spadaccina che intraprende una pericolosa missione per vendicare la morte del padre. Diciamo subito che il padre è il re Amleto, buon governante amato dal popolo che viene ucciso dal fratello Claudio con la complicità di Gertrude moglie di Amleto. Inutilmente Scarlet la figlia del re buono, cerca di vendicarsi: Claudio la avvelena e lei si ritrova nelle desolate lande della terra dei morti. Qui si trova a difendersi da tutti i nemici che Claudio, anche lui morto nel frattempo, le manda contro per ucciderla definitivamente. E tra questi, gli infidi Rosencrantz e Guildenstern e il cattivo Polonius. Ad aiutarla è un giovane infermiere altruista e pacifista che si troverà a dover combattere per salvarsi e salvarla. Tra i due, dopo la diffidenza nasce l’amore, ma solo uno di loro potrà attraversare la porta che riporta alla vita. Una porta che si apre solo a chi sa perdonare. Tanti i riferimenti politici e sociali che si rivelano nel cammino di una vicenda capace di emozionare.
Emoziona anche, sempre fuori concorso, ‘Remake’ di Ross McElwee, uno straordinario film sul dolore per la perdita di un figlio determinata dalla droga. Il film ripercorre infatti il rapporto di McElwee con il figlio Adrian e il fragile legame che la macchina da presa ha creato tra loro mentre Adrian era in vita e ora che non c’è più. Spiega il regista: “Quando Adrian è morto, improvvisamente e inaspettatamente, nell’inverno del 2016, non ero sicuro di voler fare un altro film. Alla fine ho cominciato a riguardare i miei filmati di famiglia, tutti questi momenti accumulati con mio figlio, che non c’era più. E poi ho iniziato a guardare anche quello che aveva filmato lui. ‘Remake’ è al contempo il mio tentativo di tenermi stretto Adrian, e di lasciarlo andare”.
Il film è una lenta e commossa elegia, e insieme un sofferto canto di vita, una riflessione che coinvolge e che insieme lascia impietriti: un padre piange.