Con il motto ‘o si è felici o si è complici’, il regista Nicola Bellucci racconta nel suo documentario la comunità Lgbt di Palermo
Di cosa parla ‘Quir’, il documentario di Nicola Bellucci presentato alle Giornate del cinema svizzero di Soletta dove ha vinto il premio del pubblico? Parla dell’omonima bottega di Palermo e della comunità Lgbtq+ che la circonda, parla di Massimo e Gino e del loro matrimonio dopo quarantadue anni insieme, parla di Vivian che sta affrontando un percorso di transizione, di Charly, figlio di emigrati siciliani cresciuto in America frequentando i grandi di Hollywood in un periodo in cui l’omosessualità doveva restare nascosta, parla dell’artista fluido Ernesto che torna da Londra per occuparsi della madre anziana. Soprattutto, parla di libertà e della gioia della libertà.
Il regista Nicola Bellucci racconta di aver conosciuto Massimo e Gino passando un giorno davanti alla loro bottega in un vicolo di Ballarò, il quartiere di Palermo. Quello che doveva essere un semplice negozio di borse e oggetti in cuoio si è rivelato «una specie di confessionale, o un pronto soccorso per anime in cerca di aiuto», con una storia di lotte per i diritti Lgbt lunga quarant’anni. Da questo microcosmo i personaggi si sono moltiplicati, diventando pezzi di un puzzle sullo sfondo di Palermo.
Al centro ci sono, come detto, Massimo Milani e Gino Campanella, militanti fin dai primi anni Settanta: sono tra i fondatori di Arcigay a Palermo nel 1980, dopo l’omicidio dei due “ziti” di Giarre, Giorgio e Toni. E proprio a Giarre, in provincia di Catania, decidono di unirsi civilmente: un gesto dal valore simbolico, certo, ma soprattutto un momento emozionante, dopo averli conosciuti attraverso lo sguardo di Bellucci. Con Massimo, che trasformato il suo corpo continua a sentirsi un uomo, e Gino che ha lasciato moglie e figli per amore. Ma ‘Quir’ ci racconta anche di Vivian, una giovane che vive a Ballarò e che trova in Massimo una sponda per confrontarsi sui dubbi del suo percorso di transizione e che, rifiutando la retorica del “corpo sbagliato”, dice di sentirsi «talmente tanto donna che forse avrei potuto mantenere l’organo genitale maschile»; ci racconta di Ernesto, cantante e performer con una «straordinaria voce da castrato» che da Londra è tornato a Palermo per dedicarsi completamente alla madre anziana affetta da demenza senile; ci racconta di Charly, novantaduenne figlio di emigrati siciliani in America, che ha frequentato la Hollywood dorata degli anni Sessanta. Oggi vive di ricordi quasi incredibili in una casa semivuota a Palermo, “padrino” di una scena gay che ha attraversato decenni di trasformazioni.
Era impossibile non notare, alle Giornate del cinema, la delegazione di ‘Quir’: per gli abiti sgargianti e colorati di Massimo e di altri ospiti, ma soprattutto per applausi e grida che, alla loro entrata, avevano invaso l’austero Landhaus di Soletta – costringendo i presenti a interrompere interviste e altre conversazioni. Perché ‘Quir’ è questo: un film di grande gioia, anche nei momenti più intensi. “O si è felici o si è complici”: è una delle cose che, durante la realizzazione del film, Massimo diceva spesso al regista. È una citazione del suo amico e poeta Nino Gennario, morto di Aids e Nicola Bellucci l’ha resa la cifra stilistica del film che si apre con Massimo che urla “frocio, ricchione” davanti a un matrimonio eterosessuale in chiesa.
Ma ‘Quir’ è soprattutto un film sulla libertà. Restano impresse le parole di Massimo che, come accennato, non si sente una donna, non si vuole appropriare del tutto di un genere che non è il suo, si è sempre sentito «attratto dal genere femminile, dalla libertà, dalla sensibilità, da un mondo che era oppresso però più libero di esprimere i propri sentimenti». Un desiderio di libertà che accetta di confrontarsi con i pregiudizi e le discriminazioni. «Un uomo che si mette una gonna distrugge un universo, passi dall’altra parte: ma come, tu da una posizione di privilegio diventi una mezza femmina? Per questo gli uomini non lo sopportano».
‘Quir’ racconta vite vissute senza compromessi, senza vittimismo e senza retorica; racconta, con sensibilità e rispetto, vite tenute ai margini, mostrando una gioia e uno spirito di libertà che sono universali. Certo c’è, nel film e nella vita di protagoniste e protagonisti, la lotta alla discriminazione e ai pregiudizi, ma la vera forza di ‘Quir’ sta nella sua capacità di prendere il pubblico e, per poco più di un’ora e mezza, portarlo in un mondo che non è il nostro. Ma sarebbe bello se lo fosse.