Vincitore del bando DNAppunti coreografici nel 2023, lo spettacolo arriva al Teatro Foce il 24 settembre. A colloquio con Sophie Claire Annen
‘EAT ME’ è il titolo dello spettacolo frutto della collaborazione tra le due artiste della danza (come si definiscono) Giorgia Lolli, di ReggioEmilia, e Sophie Claire Annen, di Lugano. Soprattutto Eat me è la rappresentazione di una riflessione intorno al corpo delle donne: come viene guardato, esposto, consumato. Questo in una partitura scenica dove movimento, musica, costumi e luci si fondono in delicato equilibrio. Vincitore del bando DNAppuntiCoreografici nel 2023, lo spettacolo ha debuttato a Romaeuropa Festival, e dopo una tournée italiana arriva al Teatro Foce domani, 24 settembre, alle 20.30. Un’occasione per vedere in scena le due danzatrici che dopo aver condiviso la formazione all’Università delle arti di Zurigo, collaborano in diversi progetti artistici dal 2020 a oggi, attraversando diverse piattaforme italiane (Anghiari Dance Hub 2020, Vetrina della giovane danza d’autore 2021) e partecipando coi loro lavori a vari festival europei. Abbiamo fatto una chiacchierata con Sophie Claire Annen per farci accompagnare nel mondo immaginifico di questa loro ultima performance.
Partiamo da questo meraviglioso titolo, EAT ME, mangiami...
Il titolo è nato dall’espressione ‘mangiare con gli occhi’. In questa ricerca corporea e di movimento ci siamo ispirate all’idea di spostare il senso della vista su tutto il corpo, una sovversione dell’ordine del sentire. Alla base del lavoro c’è un discorso legato allo sguardo: che peso ha sul corpo? Attenzione però, nel nostro titolo non è chiaro chi mangia e chi viene mangiata…
Come nasce la necessità di questo spettacolo? Nel tempo o da una rivelazione?
Penso che sia maturata negli anni. Ho iniziato a collaborare con Giorgia Lolli, che ne è l’autrice, dal 2020. Siamo persone che lavorano con il corpo e spesso ci interroghiamo sul femminile. Nel 2023 Giorgia era in residenza al Museo d’arte di Bologna, e mi ha invitata. Ci siamo messe a lavorare in un corridoio, e da lì è nato il punto di vista coreografato specifico. Il luogo ci ha regalato poi l’osservazione dei ritratti femminili.
Infatti, nel vostro lavoro si indaga la rappresentazione del corpo femminile nelle arti visive. Che tipo di ricerca avete intrapreso?
Ci sono i vari piani di riflessione. Siamo partite dalla ritrattistica classica femminile, ma poi il risultato si muove su vari livelli di lettura. Parliamo da danzatrici che vivono in un corpo di donne, e quindi anche la nostra esperienza è soggettiva, incarnata, e ha un peso in questo lavoro. La nostra idea è proporre domande attraverso la grande macchina del teatro. Lavoriamo tanto la relazione fondamentale tra performer e pubblico, chiedendoci, e se venisse ribaltata? Quando parlo di ritrattistica classica femminile mi riferisco per esempio a ‘La grande Odalisque’ di Ingrès, o le Veneri di Tiziano e Giorgione, quadri che spesso mostrano la parte posteriore della donna celandone il volto. Questi sono ideali femminili ancora oggi? Che peso ha questa ritrattistica? Per gran parte del lavoro in scena saremo di schiena, non ci si vedrà il viso.
Rispetto ai corpi, che dite spesso sessualizzati, questo accade a opera di chi propone o di chi fruisce l’arte?
Io credo che come donne abbiamo tutte un certo tipo di esperienza nell’essere guardate anche quando non lo desideriamo. Nella danza poi è presente un giudizio oggettificante. La danza però propone anche degli strumenti che possono trasformare e sovvertire questa oggettificazione, ed è questo il bello! Il teatro è uno spazio di possibilità per esporre il nostro punto di vista e il nostro vissuto. È una scelta quella di volersi esporre in un certo modo. Il performer dialogherà con lo spettatore, lo inviterà a guardare il corpo, poi potrà anche rimandare lo sguardo in un certo modo. La nostra ricerca è avanzata all’unisono, come se fossimo un solo corpo in scena.
Con Giorgia Lolli, siete insegnanti Dance Well – Movement Research for Parkinson’s. Hai voglia di parlarmi anche di questo aspetto della vostra attività come danzatrici?
Si tratta di una pratica inclusiva di movimento per persone che vivono con il Parkinson, nata a Bassano del Grappa una decina di anni. Entrambe vogliamo rendere la danza accessibile a tutti i tipi di corpi, portare la sperimentazione, capire insieme cosa è possibile fare attraverso un processo di creazione. Io penso che i limiti del corpo non siano limiti ma aperture di possibilità, occasioni per riscoprire il corpo in un altro modo.
EAT ME sarà seguito da un incontro moderato da Shahrzad Mohsenifar, specializzata nella critica e analisi della danza attraverso gli studi coreologici, sempre al Foce di Lugano.