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La scomoda verità dietro il debito pubblico

Nel dibattito emerso in queste settimane sulle pagine de laRegione attorno al debito pubblico, si parla di “sostenibilità del debito” come se fosse una formula matematica priva di conseguenze reali. Ma non lo è. Il debito pubblico non è neutro. È una scelta politica precisa, e soprattutto è una scelta che ha un impatto diretto su chi verrà dopo di noi.

Contrarre debiti oggi significa imporre imposte domani. Significa caricare i figli delle nostre incertezze, della nostra incapacità di fare scelte difficili e responsabili nel presente. È facile promettere, spendere, distribuire. Molto più difficile è dire “no” quando serve, risparmiare dove è giusto, riformare quando è necessario. Ma è proprio questo il compito di una politica seria e lungimirante. Ed è qui che la questione del debito si intreccia con quella – ben più ampia e ideologica – del ruolo dello Stato nella nostra società.

Ogni franco speso in più dal settore pubblico, ogni competenza che viene centralizzata, ogni nuova misura di assistenza permanente rappresentano un’espansione dello Stato. E quando lo Stato cresce, inevitabilmente qualcosa si riduce: la libertà del cittadino, la sua autonomia, la sua responsabilità. Più Stato non significa solo più servizi; significa anche più norme, più controlli, più imposte, più burocrazia. E meno spazio per l’iniziativa individuale, per il rischio imprenditoriale, per la costruzione del proprio futuro secondo le proprie regole e priorità. Chi difende sistematicamente l’aumento della spesa pubblica, chi reclama un intervento statale per ogni problema – dal più strutturale al più banale – raramente esplicita il vero obiettivo di fondo: un modello di società in cui i cittadini non sono protagonisti, ma utenti passivi, in cui si rinuncia alla libertà di scegliere per ricevere in cambio la comodità del delegare.

Mi oppongo fermamente a questa visione. Credo in uno Stato forte dove serve – nella sicurezza, nella giustizia, nelle infrastrutture strategiche – ma limitato in tutto il resto. La vera giustizia sociale non consiste nel livellare le condizioni con la redistribuzione continua, ma nel creare opportunità affinché ciascuno possa emergere con merito e impegno. È la responsabilità individuale ad essere la base imprescindibile per una società davvero libera, prospera e solidale. Il debito pubblico, in questo senso, è la cartina di tornasole di una deriva culturale. Una società che spende troppo oggi è una società che non vuole affrontare le sue contraddizioni, che preferisce procrastinare i problemi anziché risolverli. È una società che abdica alla propria responsabilità. Ma ciò che viene ignorato è che ogni spesa a deficit ha un nome e un cognome: quello delle generazioni future, che non hanno ancora diritto di voto, ma che pagheranno il conto.

Chi oggi difende il debito, difende anche – consapevolmente o meno – una logica per cui lo Stato deve occuparsi di tutto e di tutti. Ma questo significa anche che lo Stato decide per tutti. E allora chiediamoci: vogliamo una società in cui lo Stato fa tutto, o una società in cui il cittadino è libero di scegliere, di rischiare, di sbagliare, ma anche di riuscire? Io non ho dubbi.