Dopo quattro mesi di telefonate e appuntamenti più o meno cordiali e costruttivi, la Svizzera si trova peggio che all’inizio e molto peggio di prima del “Liberation Day” di Trump. Siamo addirittura, dopo il Canada e il Brasile, quelli con i tassi doganali maggiormente aumentati rispetto all’annuncio primaverile dell’offensiva fiscale americana.
Già guardando chi ci sta attorno in questo gruppo di Paesi di condannati capiamo una prima cosa. I dazi di Trump non servono solo per riequilibrare gli scambi commerciali (e compensare i favori fiscali dovuti ai suoi elettori) ma anche per punire gli Stati che gli sono politicamente ostili. Il Canada che non rinuncia alla sua indipendenza, il Brasile che condanna l’amico putschista Bolsonaro e l’India perchè bisognava colpire almeno lei per il petrolio che le forniscono Russia e Iran. La Svizzera andava tartassata perchè il franco fa concorrenza al dollaro e da noi si rifugiano il capitali in fuga dalla nuova instabilità americana. Una spiegazione “razionale” del trattamento ostile riservatoci potrebbe trovarsi solo nei dazi praticati dalla Svizzera sui prodotti agricoli importati, il 25% contro il 4% americano. Altrimenti, la tassazione ponderata delle nostre importazioni dagli Stati Uniti, dell’1,7%, risulta comunque inferiore al 2,2% che pagavano già le nostre esportazioni.
Da Clinton e Obama in poi, l’immagine della Svizzera predominante a Washington è infatti oscurata dalla narrazione sui depositi ebraici e altre manipolazioni legate al segreto bancario. Ciò nonostante, nei preliminari d’ogni discussione bilaterale, andava almeno sottolineato che proprio a quella che il guru repubblicano Steve Bannon chiama la “banda di corrotti e corruttori“ svizzeri è stata affidata da decenni la difesa degli interessi americani in contesti internazionali bollenti quali Cuba, l’Iran, la Libia e il Venezuela. L’impressione avuta dalle dichiarazioni rassicuranti al ritorno delle nostre delegazioni da Washington riposave invece immancabilmente sulla leggenda nostrana del „Sonderfall Schweiz“, quasi a smarcarci dall’Europa che da anni avrebbe “derubato, violentato, saccheggiato” gli USA (ma che ha ottenuto il più forte decremento rispetto ai tassi punitivi annunciati in aprile). In una crisi come quella scatenata da Trump vale più che mai la regola “mai dire mai”.
Lascia perplessi anche la tattica negoziale enunciata dal Capo del dipartimento economia Guy Parmelin: “Se si mette tutto sul tavolo si perde”. Come non aver capito che si aveva in fin dei conti a che fare con un businessman transattivo abituato a colpire in anticipo per piegare l’avversario e poi negoziare vittoriosamente alle sue condizioni ? Sarebbe come disporsi a una partita di scacchi dimenticandosi di posizionare torri e fanti. Arrivare in seconda battuta con argomenti come gli investimenti e gli acquisti d’armamenti o far presente che abbiamo già abolito i dazi industriali poteva suonare bene ma anche come una velata minaccia di ritorsione agli orecchi di un prevaricatore come Trump e spingerlo a rincarare la dose. La Svizzera non è la Cina e non possiamo permetterci di giocare al ribasso o all’asta con il nostro secondo cliente internazionale, ma dobbiamo puntare al “prezzo fisso”, basato sull’obbiettiva complementarietà e convenienza reciproca.
Comunque adesso ci rimangono secondo il “piano strategico” inopportunamente svelato ai media americani dall’ex ambasciatore Thomas Borer e salvo ripensamenti del tycoon in capo, gli acquisti forzati di carne bovina trattata con ormoni e di gas liquido di cui non abbiamo veramente bisogno. Oltre alla promessa d’acquisto di velivoli Boeing da parte della Swiss e d’investimenti industriali, soprattutto da parte delle farmaceutiche, che fin’ora hanno ampiamente approfittato, a dire il vero, del mercato statunitense.
Accettare tuttavia come riferimento la sola bilancia commerciale e non agganciarvi da subito quello più che mai positivo dei pagamenti legati ai flussi finanziari e i servizi, di cui si è sentito poco e tardi parlare, potrebbe essere stato l’errore fondamentale. In fondo il piccolo Davide, armato solo della sua cerbottana, non poteva dimenticarsela a casa davanti a Golia o almeno, per dirla con un vecchio democristiano italiano, “a chi ti domanda qualcosa, rispondi subito ‘no’ ... poi eventualmente tratta”. Insomma, a Trump e ai suoi funzionari incompetenti e senza potere decisionale ai quali ci confrontavamo, non abbiamo saputo fare abbastanza paura e adesso finiremo per pagare più del dovuto.