Qualche settimana fa, durante una puntata di “Modem” di Rete Uno nella quale si discuteva dell’efficacia del modello di formazione dell’insegnante proposto dal Dfa, Fabio Pusterla pose la domanda forse più azzeccata sull’intera questione: il Dfa è amato dai docenti ticinesi? Allora alla domanda nessuno rispose. Nel frattempo la risposta è arrivata dallo stesso Pusterla in occasione di un recente evento pubblico dedicato a Ivo Monighetti e alla svolta sessantottesca nella scuola. Quale sia stata la risposta il lettore l’avrà capito da sé. A sentirla avranno di certo provato molta amarezza coloro che in questi ultimi decenni si sono spesi nella formazione degli insegnanti della scuola ticinese.
Ci fu un tempo però in cui il luogo della formazione degli insegnanti ticinesi, che allora si chiamava Scuola Magistrale, era un’istituzione amata e riconosciuta per il suo valore, non solo dai maestri. Chi l’aveva frequentata la considerava un po’ sua e tale fu anche durante i moti sessantotteschi. Erano gli anni in cui in quella scuola insegnava Ivo Monighetti. Allora vi si formavano insegnanti di scuola dell’infanzia ed elementare. L’impronta era profondamente pedagogica e la pedagogia affondava le radici non solo nelle scienze umane e sociali, ma anche nella filosofia. Sull’ideale della professione coltivato da Monighetti sono rimasti pochi suoi articoli. Sono testi densi di significato pedagogico, per niente segnati dal tempo, che meriterebbero di essere ristampati. Vi troviamo i tratti salienti della professionalità insegnante: l’interprete autorevole della cultura del proprio tempo e il professionista dell’apprendimento che agisce facendo costante riferimento ai valori fondanti dell’etica pubblica e dell’etica professionale.
Nel ruolo di direttore Monighetti fu chiamato a pilotare la creazione dell’Istituto per l'abilitazione e l'aggiornamento. Era il luogo in cui anche i futuri insegnanti di scuola media e delle scuole di maturità si sarebbero dovuti formare. A Monighetti non bastarono il rigore del pensiero e la gentilezza dei modi per condurre in porto l’operazione e gettò la spugna. Prima ancora che si potesse compiere l’implementazione della formazione per gli insegnanti delle scuole secondarie si manifestarono ostilità e resistenza, contro cui nulla poté il carisma riconosciuto di chi allora era a capo del progetto.
Sono considerazioni di cui si dovrebbe tener conto anche oggi, allorché c’è chi vuole rimettere in discussione, in parte anche per motivi contingenti, il modello attuale di formazione dell’insegnante. Se c’è un esame di coscienza da compiere, nessuno ne dovrebbe essere esonerato. Pure il Dfa deve fare la sua parte, per diventare anch’esso quella scuola amata e riconosciuta che fu la Magistrale di Monighetti; per trovare un posto nel cuore di ogni insegnante ticinese; insomma per essere il nostro Dfa.
Per farlo però non è sufficiente dedicare la necessaria cura alla sola pratica professionale. Sono altrettanto importanti i corsi teorici, un luogo essenziale della formazione per acquisire gli strumenti della riflessione critica che deve sorreggere la pratica e per sviluppare compiutamente l’ideale di servizio che sta alla base della professionalità insegnante. Non c’è nulla di più pratico di una buona teoria. Ce lo spiegò colui che continuiamo a considerare il più importante pedagogista del Novecento: John Dewey.