Solo un esame di coscienza da parte di tutti permetterebbe oggi di superare l’ostilità che ha accompagnato l’istituto per la formazione degli insegnanti fin dalla sua nascita, ispirata a un’ideale educativo che “affondava le radici non solo nelle scienze umane e sociali, ma anche nella filosofia”. Contro l’ostilità della scuola verso la teoria Marcello Ostinelli (laRegione, 22.5.2025) ricorda con John Dewey che “non c’è nulla di più pratico di una buona teoria”.
Ma quale tipo di teoria ci è stato proposto negli anni dal Dfa, sorretto da un approccio psicologizzante che da decenni ha dettato gli orientamenti della scuola, ovvero da quando il modello tecnico dell’apprendimento si è imposto su quello della formazione di cultura generale?
Quello stesso modello a proposito del quale Hannah Arendt, di fronte ai disastri della progressive education statunitense, negli anni Cinquanta spese parole di condanna definitiva. Le moderne scienze dell’uomo sono sorte dalla pretesa di fare scienza del sapere e della cultura, mentre la scienza ne è parte e non può dunque ergersi a loro giudice. Dei portati della loro fisiologia del sapere Kant ha parlato nei Prolegomeni come di “bastardi dell’immaginazione”, prodotti ideologici frutto dell’usurpazione del potere della ragione.
Ma se non sono scienze allora cosa sono le ‘scienze dell’uomo’, da un punto di vista epistemologico? Pseudo-scienze finalizzate a una terapia politica o al controllo sociale: tecnologie dell’adattamento e della normalizzazione. Da Aristotele all’idealismo tedesco, la fenomenologia di Husserl, la teoria critica e l’epistemologia storica francese, si tratta di verità dalla semplicità disarmante, partendo dalle quali si è sviluppata la tradizione filosofica occidentale.
A meno di volersi richiamare a una tradizione diversa, nata dal rifiuto deliberato e dall’incomprensione della prima, una presunta science of man (la tradizione di Hume cui Dewey si richiama) che culmina nell’odierno accademismo del mind and brain. Prendiamo atto che sono questi gli orientamenti e questa la filosofia da cui si lasciano guidare oggi le nostre istituzioni nel decidere del destino della scuola. Non ci si parli, però, per favore, di teoria: questa – come auspicato – è prassi, o profilassi di ogni pensiero. Intanto il Cantone vive senza saperlo forse una delle più gravi crisi istituzionali della sua storia.
Il nuovo piano quadro degli studi per le scuole liceali è del tutto incompatibile con la nostra legislazione sulla scuola e con l’autonomia in materia di istruzione e di cultura che la Costituzione federale ci riconosce. Il liceo come scuola di formazione e di cultura generale sarebbe superato, la Bildung soppiantata dai moderni approcci scientifici alla conoscenza. Emanato a livello intercantonale, la vera e propria croce del nostro federalismo, il piano risponde a un intento di meccanica certificazione dell’uniformità delle scuole di maturità liceale che sfugge a ogni controllo democratico.
Conformemente alle tecnologie sociali cui è improntato, il piano è l’espressione del più profondo biologismo, economicismo e funzionalismo. La maturazione personale e culturale degli allievi è sacrificata a rituali collettivi di stimolazione del cervello per la fabbricazione di individui costantemente dediti, nella loro personale guerra quotidiana contro tutto e tutti, alla loro “autodisciplina” e alla loro “autoefficacia”, ovvero all’esercizio della loro soggettività tanto cieca quanto coatta e alla propria affermazione meccanica sul mondo. L’articolo 2 della nostra Legge sulla scuola parla tuttavia di “persone”, cui fornire gli orizzonti culturali entro i quali compiere responsabilmente le proprie scelte.