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L’Alpe ci parla, la politica risponde

(Ti-Press)

Chi ascolta, capisce. È questa la sensazione che lascia la recente trasmissione della Rsi “Il tempo all’Alpe”, curata con grande sensibilità da Lara Montagna. Un servizio prezioso, perché dà voce – in modo pacato ma incisivo – a chi vive ogni giorno la realtà dell’Alpe. Allevatori, giovani agricoltori, famiglie: persone che non cercano polemiche, ma chiedono solo di poter continuare a vivere e lavorare in montagna con dignità e sicurezza.

La trasmissione ha mostrato con chiarezza come la presenza crescente del lupo stia mettendo a dura prova l’equilibrio tra uomo e natura. Gli attacchi al bestiame, la tensione costante, la difficoltà a proteggere gli animali e a portare avanti le attività tradizionali: tutto questo ha un costo, non solo economico, ma anche umano e culturale.

Non si tratta di contrapposizioni ideologiche o strumentali, ma di prendere atto che questa coabitazione così non può funzionare. Come presidente della Stea e consigliere nazionale, ho voluto portare questa realtà anche a Berna, con atti parlamentari che rispecchiano esattamente ciò che abbiamo visto e ascoltato nella trasmissione.

Uno di questi chiede al Consiglio federale di mettere in campo tutti gli strumenti oggi disponibili, rivedendo anche le soglie di intervento, per ridurre la popolazione di lupi. L’obiettivo è riportare il numero di branchi e di esemplari entro i limiti previsti dalla Strategia Lupo Svizzera, che stabilisce una soglia di riferimento di 12 branchi distribuiti sul territorio nazionale. Una soglia oggi ampiamente superata: nel 2020 si contavano 11 branchi, nel 2023 siamo saliti a 30, e oggi (2025) siamo arrivati a 36 branchi — 25 interni e 11 transfrontalieri — per un totale stimato di 250-300 lupi, con 5 branchi solo in Ticino. Di fronte a questi numeri, è evidente che servono misure più incisive, concrete e coordinate.

A questa esigenza si lega un secondo intervento parlamentare, che pone l’attenzione su un altro nodo cruciale: la lentezza delle analisi genetiche. Oggi, in Svizzera, servono spesso diverse settimane per ottenere i risultati necessari all’identificazione di un lupo coinvolto in una predazione o sospettato di essere un ibrido. In altri Paesi, come la Germania o la Francia, i test vengono fatti in 4-5 giorni lavorativi. Non è più ammissibile che in un contesto dove la tempestività è fondamentale, si debba ancora fare i conti con una struttura centralizzata e poco flessibile. Solo con test rapidi ed efficaci si potranno dare ai Cantoni strumenti operativi concreti per intervenire in modo più rapido e risolutivo.

Le prime misure sono già state adottate: a partire dal 2024/2025, l’Ufficio federale dell’ambiente ha autorizzato l’abbattimento di 125 lupi, e 92 di questi lo sono stati effettivamente. Ma non basta. Serve una strategia nazionale più coraggiosa, in grado di ascoltare i bisogni reali del territorio e di proteggere le persone che ogni giorno contribuiscono a mantenere vivo l’ambiente alpino.

La trasmissione Rsi ha avuto il merito di riportare al centro dell’attenzione pubblica una realtà troppo spesso ignorata. La politica deve raccogliere questo messaggio e tradurlo in azione. Perché l’Alpe non è solo un luogo da visitare d’estate, ma una parte viva e preziosa della nostra identità. E per continuare a esserlo, ha bisogno di regole, equilibrio e – soprattutto – di persone che possano restarci.