“Le ragioni fondamentali del moltiplicarsi delle guerre africane vanno ricercate innanzi tutto nella fine della Guerra fredda e nel fallimento della cooperazione allo sviluppo”. La contrapposizione Est-Ovest infatti aveva in un certo senso stabilizzato l’Africa, un buon numero di paesi erano “satelliti” del blocco occidentale, altri erano assistiti e finanziati dall’Unione Sovietica. Oggi l’interesse delle grandi potenze a mettere denari in Africa per mantenere in vita i regimi politici locali è venuto a cadere. Nel frattempo sono falliti molti programmi di cooperazione allo sviluppo, avviati sin dagli anni 60. Falliti perché un programma di cooperazione ha bisogno di un interlocutore capace di fare buon uso del denaro stanziato e la classe dirigente di molti paesi africani si è dimostrata non all’altezza del compito. La somma di questi due fattori, ha reso inevitabile la destabilizzazione di un certo numero di regimi. La Somalia è stata per un certo periodo all’inizio degli anni 90 un caso esemplare. Se l’avessimo risolto con una lunga presenza – che io definisco neocoloniale – non però di una potenza occidentale, europea o americana, ma delle Nazioni Unite in quanto tali (naturalmente con una forza internazionale), questo sarebbe stato un segnale positivo che si sarebbe in qualche modo diffuso nel resto dell’Africa. Invece abbiamo dato il segnale opposto, cioè ce ne siamo andati. Adesso è difficile tornare indietro perché ormai le cose sono molto peggiori di quanto fossero allora: mancando un forte interesse politico e strategico a occupare posizioni di potere in Africa come ai tempi della Guerra fredda i governi delle potenze europee o americane fanno fatica a spiegare ai loro parlamenti perché spendere miliardi e miliardi di dollari per occuparsi di problemi che non hanno diretta rilevanza per la vita dei propri concittadini.
Esiste poi un problema di confini nazionali che ricalcano ancora quelli coloniali, a loro volta disegnati a tavolino sulla base di accordi che non tenevano grande conto della disomogeneità etnica o tribale. Tuttavia non è la responsabilità delle ex potenze coloniali questa, perché i primi a non desiderare la revisione delle frontiere sono stati proprio i nuovi paesi emersi dalla decolonizzazione, i quali hanno preferito non toccare i confini, per evitare di aprire una serie di contenziosi dai quali si rischierebbe di non uscire più. Il problema si pone anche perché gli Stati tradizionali stanno perdendo gran parte delle loro funzioni nel mondo intero. Eppure ritengo che alcuni ruoli, pur in questa fase di declino e di decadenza, vanno conservati; come il controllo del territorio, dell’ordine pubblico, della lotta alla criminalità, della convivenza pacifica dei cittadini. Lo Stato deve continuare ad avere monopolio della forza. E questo è quello che manca all’Africa.