Essere idealisti oggi non conviene: non è politico, produce utopie al posto di soluzioni concrete. Lo pensano in molti. I più indulgenti li trattano da ingenui con una punta di commiserazione. I più convinti antidealisti spiegano ad esempio che la Global Sumud Flotilla composta da una cinquantina di barche che navigano disarmate verso Gaza con aiuti umanitari e messaggi di pace, sono solo degli avventurieri in cerca di notorietà e di – meritati – guai. Lo conferma elegantemente il Dipartimento federale degli Affari Esteri quando sconsiglia il viaggio a Gaza, come un qualsiasi viaggio di piacere, e ricorda a chi non rinuncia a questa missione umanitaria che lo fa a suo rischio e pericolo. Al massimo, quando si troverà in una prigione israeliana per terroristi, potrà sperare che un premuroso funzionario dell’ambasciata lo faccia rimandare presto a casa. Gli idealisti non meritano di meglio. Davvero?
Invece tentano di fare quello che dovrebbero fare i nostri governi, per primo quello svizzero, custode del diritto umanitario. Ossia quanto richiesto nell’ennesimo Appello lanciato all’inizio di luglio al Consiglio federale da una quarantina di personalità dell’ambito sanitario, insieme a docenti universitari, ex consiglieri federali, giuristi, vescovi e artisti. Chiedevano un intervento deciso e immediato per fermare il massacro in corso e in particolare l’apertura di un corridoio umanitario per, e anche da Gaza.
Sono passati due mesi, medici e operatori sanitari hanno persino iniziato uno sciopero della fame davanti a palazzo federale, ma il Consiglio federale e il Parlamento respingono qualsiasi intervento e del corridoio umanitario non c’è traccia. Peggio ancora: a genocidio ormai confermato da una commissione ONU, visti i rapporti con Israele, il nostro governo potrebbe essere accusato di complicità nel genocidio in corso.
È la prima volta che esponenti della società civile di 45 paesi si uniscono per una missione di solidarietà. Anche se rimarrà un atto simbolico, ha però il valore politico di smascherare l’ipocrisia dei governi passivi davanti al genocidio e agli appelli dell’ONU, ancora condannata all’impotenza. La Global Flotilla ha il merito di rendere più visibile il vero spartiacque in questa guerra, che non è fra mondo civile giudeo-cristiano e mondo islamico antisemita, fra bene e male, come si vorrebbe far credere. Bensì fra il cinico neocolonialismo bianco e il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione. Fra il potere delle armi – anche quelle di Hamas – e chi promuove la convivenza pacifica in Israele e in Palestina.
Naviganti della Flotilla, operatori sanitari in sciopero, manifestanti che scenderanno ancora in piazza il 27 settembre a Bellinzona: solo ingenui attivisti che ignorano il principio di realtà? Eppure, la storia ci insegna che in politica idealisti e pacifisti sono la migliore garanzia per prevenire la violenza e fermare la barbarie, tanto cara ai mercanti d’armi. Politici come Gandhi, Mandela o Pepe Mujica, per citare solo i più noti, lo hanno dimostrato realizzando le loro “utopie”. Gli idealisti attivi per Gaza difendono gli stessi valori. Fanno un gesto necessario per ridare senso alla parola “umanità”. Un gesto che risponde alla domanda posta da Francesca Albanese: “La solidarietà è la declinazione politica dell’amore?”. Politica, appunto.