Le istituzioni esistono per proteggere i più deboli, ma quando il sistema fallisce, chi ne paga il prezzo sono i minori. In Svizzera, tribunali e servizi sociali dovrebbero garantire il benessere dei bambini nelle crisi familiari, eppure troppi episodi sollevano dubbi sulla trasparenza e correttezza delle decisioni prese.
Sottrazioni forzate senza avallo giudiziario, permanenze prolungate in strutture protette senza motivazioni chiare, esclusione di prove decisive: questi non sono casi isolati, ma segnali di un sistema vulnerabile ad abusi. Quando lo Stato permette la separazione di un bambino dal genitore senza verifiche rigorose, viola un principio di giustizia.
Il problema non è la protezione, ma come viene attuata. Il “bene tutelato” spesso si discosta dalla salute emotiva e affettiva del minore, a causa di professionisti con strumenti conoscitivi limitati rispetto alle necessità mediche, educative e psicologiche. Chi opera nell’infanzia dovrebbe avere una formazione altamente qualificata per comprendere i bisogni e i diritti dei minori, come sancito dalle Convenzioni internazionali, ma troppo spesso non è così. Ed è qui che il sistema fallisce, dando spazio a decisioni superficiali e pericolose.
Ancora più grave è il dilagare delle accuse infondate, ignorate per anni, che ora emergono come una falla sistemica nelle dispute familiari con conseguenze devastanti. Chi opera nel settore dovrebbe possedere una formazione specializzata; tuttavia, troppo spesso ci si trova di fronte a professionisti insufficientemente preparati ad affrontare la complessità delle situazioni.
Servono trasparenza, regole ferree e specialisti qualificati. Perché non esiste ingiustizia più grande di quella consumata nel silenzio, dietro il paravento di un “bene superiore” che, troppo spesso, non è quello del bambino.