Adesso si dice Pro Pal, come se pronunciare Palestina per intero fosse un'immensa fatica. Oppure si potrebbe pensare che è già iniziata la cancellazione del nome (siamo a buon punto, tre quarti del nome sono rimasti sospesi nell’aria).
Pal era anche un cibo per cani: penso al fatto che stiamo parlando di un Paese dove volutamente si è tolto il cibo agli umani. Io ero lì, venerdì, con in tasca una poesia di un poeta palestinese. Non l’ho letta, ma mi accompagnavano parole alate. Non ho visto Ignazio Cassis. Entrato furtivamente, fuggito precipitosamente. Sarebbe stato possibile un confronto aperto?
All’aperto c’erano i tavolini predisposti per uno scintillante aperitivo, bollicine comprese. A Gaza si muore di fame per mandato diretto del socio d’affari da cui comperiamo improbabili droni (per dirne una). Avrei preferito anche io manifestare più pacificamente, mi convince di più la fragile forza della semplice presenza. Detto ciò capisco anche la rabbia poco elegante: è comunque una debole risposta all’immane tragedia nella striscia di Gaza e altrove.
Non giustifico aggressioni o insulti che per me stanno dentro la logica della guerra. Alla stessa stregua credo che chi oggi accorre al capezzale della democrazia dovrebbe anche interrogarsi sui propri gesti e sulle parole feroci che pronuncia settimanalmente o quotidianamente verso chi non la pensa come lui. E non parlo solo di lui, che stona sguaiatamente ogni domenica. Per non concludere per prima cosa mi sembra indispensabile pronunciare per intero il nome Palestina e metterci d’accordo urgentemente per farlo vivere di vita propria.