laR+ LA TRAVE NELL’OCCHIO

L’eccellenza della mediocrità

L’arrocco leghista fa a pugni con l’idea di democrazia in cui chi governa amministra le funzioni pubbliche ma non le possiede

In sintesi:
  • Oggi la politique politicienne gode di ottima salute
  • Alla base dello scambio non vi scorgo l’anelito al bene collettivo ma l’interesse di un partito che se la passa non troppo bene
Due uomini, due sedie
(Ti-Press)
17 giugno 2025
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Ormai siamo rassegnati alla mediocrità dei politici. Che la qualità sia in costante ribasso è cosa assodata: vi hanno contributo il dilagante populismo e l’esaltazione del pragmatismo che ha cancellato gli ideali e le visioni progettuali (si ripeteva che l’importante è “la politica del fare” e “non si campa con gli ideali”: ne siamo proprio sicuri?). In una famosa conferenza del 1919, il sociologo Max Weber avvertiva gli ascoltatori attenti che si può concepire la politica in due modi: o fonte di reddito e carriera (si vive di politica) o fonte di valori e disinteressato spirito di servizio (si vive per la politica). Sono ovviamente ammesse le posizioni intermedie, ma i segni che parecchi pencolano verso la prima opzione sono vistosi.

Oggi, a occhio e croce, la politique politicienne (leggi: prima l’interesse mio e il calcolo di partito, poi il bene comune) gode di ottima salute. E infatti è ritornato di moda il termine cachistocrazia, ossia il governo dei peggiori (l’onomatopea ci aiuta a individuare il contenuto, fatto di incompetenza, scarse capacità e una buona dose di supponenza). Qualcuno preferisce parlare di asinocrazia o idiocrazia: un’opzione vale l’altra. Dobbiamo rassegnarci: in democrazia sempre meno vincono i migliori – quelli delle virtù etiche, della dedizione disinteressata alla cosa pubblica e delle competenze indiscusse –. Conta il numero e non la qualità. Di questi tempi abbondano i personaggi che sanno blandire e alzano la bandiera sgangherata del populismo che ha una soluzione per tutti i problemi. E noi, che spesso dimentichiamo l’uso della ragione e siamo incapaci di pensiero critico, ci caschiamo ed eleggiamo i peggiori esemplari.

Ritorno al discorso sulla mediocrità dilagante in politica con un esempio minimo, ma significativo, che illustra la miseria di una parte (non tutta per fortuna) della nostra politica cantonticinese. L’arrocco leghista, che tante discussioni ha sollevato, perpetua una concezione patrimoniale dello Stato (i Dipartimenti sono cosa mia) e fa a pugni con l’idea di democrazia in cui chi governa amministra le funzioni pubbliche ma non le possiede. C’è qualche analista che curiosamente ha intravisto nella trovata leghista una strategia geniale per ricollocare competenze inutilizzate e fuori contesto. Io propendo per la classica paraculata. Personalmente resto convinto che valga il Rasoio di Occam, ossia quel principio di parsimonia che ci invita a scegliere come corretta la soluzione più semplice e ovvia. Alla base dello scambio proposto non vi scorgo l’anelito al bene collettivo ma l’interesse di un partito che se la passa non troppo bene. Non mi par lecito confondere intenzionalmente le magagne di una parte con le magagne della collettività che sono ben altre.

Purtroppo i partiti sono diventati organizzazioni gestite dall’alto, di eletti più che di elettori, di amministratori più che di amministrati e sono partiti con sempre meno partigiani: tutto sommato l’arrocco riassume il concetto. Il governo cantonale è chiamato a pronunciarsi sul contenzioso. La sua decisione ci dirà da che parte sta. Starà dalla parte della politique politicienne, di cui l’arrocco mi pare espressione, o riterrà urgente cancellare finalmente l’immagine del cittadino imbecille che subisce il triste spettacolo?