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Velasco, Trump e la forma del leader

Nello stesso giorno l’allenatore della Nazionale italiana femminile di volley e il presidente Usa agli Us Open hanno mostrato i due lati della leadership

In sintesi:
  • Una qualità indefinibile e immateriale dell’essere umano a tal punto da essere presente in Gandhi come in Pablo Escobar, tutto dipende da cosa ne fai
  • Pensiero e azione conseguente al pensiero. Il mantra del tecnico-monumento di La Plata non è certo seguito dai potenti della Terra, che usano malissimo il loro carisma
Julio Velasco, 73 anni
(Keystone)
10 settembre 2025
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La leadership, come il carisma, con cui spesso si compenetra, è la qualità forse più indefinibile dell’essere umano. Nel linguaggio social viene usato come suo sinonimo il termine aura, proprio a sottolinearne l’immaterialità. Apparteneva a Hitler come a Gandhi, a Pablo Escobar come a John Lennon. Questo per dire quanto la leadership, come l’acqua, possa assumere forme diverse, a seconda di dove viene incanalata, di dove si va a posare.

Domenica sera, la finale dell’Us Open è stata posticipata di oltre mezz’ora per permettere a Donald Trump di assistere all’incontro in sicurezza. Il presidente americano, uno che gongola nel fare lo spaccone, denigrando sempre tutto e tutti – che siano migranti, ucraini sotto le bombe o Bruce Springsteen – aveva mercanteggiato fino al giorno prima con gli organizzatori e la regia televisiva dell’Us Open la sua presenza sugli spalti. Pretendendo – e ovviamente ottenendo – di non essere inquadrato in caso che il pubblico l’avesse contestato (e infatti l’ha contestato alla prima inquadratura, che è stata anche l’ultima). Un atteggiamento che ci dice molto di questi leader urlatori e strafottenti che stanno riempiendo il mondo, che del popolo si sentono la massima espressione, ma che allo stesso tempo non sono in grado di affrontare il minimo dissenso come bambini impauriti alla loro prima recita natalizia.


Keystone
Trump allo Us Open, davanti a lui la coppa andata ad Alcaraz

Mentre New York si preparava alla finale a tre Alcaraz-Sinner-Trump, dall’altra parte del mondo, in Thailandia, la Nazionale femminile italiana di pallavolo, già oro olimpico a Parigi, diventava campione del mondo sotto la guida di Julio Velasco. Un signore capace di vincere due Mondiali di fila con la selezione italiana maschile, il primo dei quali 35 anni fa. Nel frattempo sono cambiate le regole del gioco, e con loro il mondo (per capirci, al Mondiale del ’90, tra gli avversari c’erano l’Urss e la Cecoslovacchia), ma non Velasco. Un uomo che, da sempre, deve fare i conti con l’etichetta di guru che il mondo dei media gli ha cucito addosso perché – semplicemente – al posto di giocare all’uomo forte, sbraitare, attaccare i giocatori al muro e fare battute da bar, ha sempre preferito argomentare pacatamente, partendo anche da lontano, mettendo le conoscenze extrasportive al servizio del suo lavoro.

Lo chiamano allenatore-filosofo o psicologo, in un’accezione positiva che però vale anche come eccezione. Come se fosse una simpatica, anomala, irripetibile stramberia questa cosa di conoscere Platone e al contempo collezionare trofei. A tal punto che lo stesso Velasco, trattato ormai come un demiurgo a cui le cose riescono con uno schiocco di dita, senza sporcarsi mai le mani, domenica ha tenuto a precisare “che un allenatore deve essere soprattutto pragmatico. Concreto. Fare scelte giuste in tempi brevi”. Lui, nel quinto, decisivo, set della finale le ha fatte. Dimostrandosi non solo un leader naturale, ma anche capace, a cui sono bastate poche parole, dette senza alzare i toni, nell’ultimo time-out, per dare la spinta decisiva alla squadra. Pensiero e azione conseguente al pensiero.

Passaggio che manca a Trump e a tutti quegli urlatori che dal Ticino al Cremlino usano la propria leadership per annichilire e distruggere, vedendo cultura, riflessione e rispetto come un ingombro, se non il primo nemico. Resta da chiedersi perché in giro per il mondo i Velasco (che eppure esistono) non solo non li votiamo, ma non li valorizziamo, nemmeno li riconosciamo, facendoci abbindolare da chi strepita di più, da chi il carisma lo accompagna sfacciatamente all’arroganza, alla prepotenza, alla disonestà. E alle bombe.


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Velasco abbraccia Myriam Sylla