Oggi il controverso balzello garantisce una certa parità di trattamento tra proprietari e inquilini. Abolirlo renderebbe il sistema ancor più iniquo
“È una storia ambivalente”. Jacqueline Badran, eminenza grigia del Partito socialista in materia d’alloggio, ha spiegato così al ‘Tages-Anzeiger’ la sua sofferta giravolta – da favorevole ad astenuta, infine a “convinta” contraria – sulla riforma del sistema d’imposizione della proprietà immobiliare in votazione il 28 settembre. E se una questione tormenta una politica tutta d’un pezzo come la consigliera nazionale zurighese – oltre che dividere persino i ‘gemelli’ altovallesani del Centro: il presidente del partito Philipp Matthias Bregy e l’influente ‘senatore’ Beat Rieder, schierati su fronti opposti – allora vuol dire che è proprio un bel rompicapo.
A renderla più ostica che mai è il fatto che, stavolta, la soppressione del quasi secolare, tenace balzello – sopravvissuto dagli anni 90 in poi a ripetuti tentativi di demolizione – è impacchettata in una riforma ‘integrale’ (riguarda sia le abitazioni primarie, sia le residenze secondarie) che include la possibilità, per i Cantoni, di prelevare un’imposta speciale sulle seconde case, così da compensare in parte la perdita di entrate fiscali. Al Parlamento ci sono voluti sette anni per venirne a capo. E il risultato non è disprezzabile. La proposta è assai meno sbilanciata delle precedenti: per la prima volta, l’abolizione del valore locativo (benché infelicemente estesa alle seconde case) va a braccetto con una drastica riduzione delle deduzioni.
‘Meno sbilanciata’ non significa però equilibrata, o giusta. I suoi fautori, in barba alla giurisprudenza del Tribunale federale, parlano di “reddito fittizio”, di “errore da correggere”. In realtà, il reddito percepito dai proprietari non è ‘fittizio’, ma ‘naturale’: un reddito derivante dal vantaggio materiale di usufruire dell’immobile nel quale hanno investito, potendo per questo far valere cospicue deduzioni. Sotto il profilo fiscale, il fatto che non sia monetario (come non lo è il consumo proprio degli agricoltori, altra prestazione in natura assoggettata alla legge tributaria) non toglie nulla al suo valore.
Oggi è proprio il valore locativo a garantire una certa parità di trattamento tra proprietari (che già approfittano di stime fiscali vantaggiose rispetto a chi detiene sostanza mobiliare, oltre che dei bassi tassi ipotecari e di un valore locativo basso per le prime case) e inquilini (che pagano affitti sempre più alti e non possono detrarre alcunché dall’imponibile a questo titolo). Non vi è nulla da correggere, dunque. O se proprio volessimo farlo, a rigor di logica dovremmo anche consentire agli inquilini di detrarre almeno una parte della pigione.
La riforma invece va nella direzione opposta: concede – al prezzo di pesanti perdite fiscali (1,8 miliardi l’anno per Confederazione, Cantoni e Comuni, con un tasso d’interesse dell’1,5%), mentre a Berna si profilano all’orizzonte tagli miliardari alla spesa pubblica – un ulteriore sgravio all’80% circa delle persone che appartengono a una categoria già privilegiata (quel terzo circa della popolazione fatto di proprietari immobiliari: non tutti ricchi, beninteso…); con buona pace degli inquilini, ai quali non resta che sperare che, in caso di accettazione, i Cantoni non ci vadano giù pesante con aumenti di imposta e/o tagli di prestazioni e servizi.
In un’epoca di bassi tassi ipotecari, la proprietà immobiliare esercita grande fascino sugli inquilini. Allo stesso tempo, dato che le deduzioni per gli interessi ipotecari perdono peso, il valore locativo netto tende a gravare molto di più i proprietari. Non a caso l’associazione dei proprietari fondiari (Apf-Hev) investe 7 milioni nella campagna. In fondo, la storia non è poi così ambivalente (o nuova) come sembra.