Come spesso succede, la sinistra parte da un problema vero e lo tratta con semplicità: i soldi che usciranno, dovranno rientrare. E saran dolori per tutti
Sull’iniziativa che chiede di fissare il tetto massimo dei premi di cassa malati al 10% del reddito disponibile la sinistra sta confermando la sua atavica difficoltà nel rapportarsi col principio di realtà.
Animato dalle migliori intenzioni come spesso accade – chi è che considera un divertimento pagare premi sempre più alti, al limite dell’offensivo e spesso oltre il grado di sostenibilità da parte delle famiglie –, il Ps e i suoi alleati si stanno scontrando frontalmente con quello che è il grande vulnus della sinistra dal 1848: pensare che tutto sia più semplice e ovvio di quello che è. I premi opprimono sempre più persone? Giusto farne pagare di meno, ci mancherebbe altro. I costi delle fatture colpiscono soprattutto le famiglie con figli del ceto medio? Occorre aiutarle, anche semplicemente migliorandone il potere d’acquisto. Sulla teoria, come ogni utopia e anche la più meravigliosa, nessun problema: chi mai potrebbe dire che si sta dicendo il falso? Poi, però, si esce dal magico boschetto fatato dove tutto è giusto e bello e si entra nella vita reale. E ci si pone la questione di come finanziare il mondo che a tutti piacerebbe, considerato che il Cantone non ha facoltà di stampare moneta.
Restiamo all’atto pratico, visto che a livello di giudizio il popolo ha fatto capire più volte come la pensa sull’aumento delle imposte. Per procedere a reperire le risorse nel modo suggerito dalla sinistra, al netto di eventuali tagli ai servizi di cui beneficiano tutti, anche chi riceve e riceverà il sussidio, bene che vada serve questo: per il moltiplicatore d’imposta una maggioranza dei due terzi del parlamento disposta ad alzarlo del 10% – per adesso –, e poi il sostegno in votazione popolare; per l’imposta sulla sostanza, servirebbe invece un avallo parlamentare per tornare indietro rispetto a quanto deciso dal parlamento stesso e dal popolo nell’ambito della riforma fiscale e sociale. Il tutto, tacendo della rivalutazione delle stime immobiliari già a preventivo e che non si può dedicare per simpatia a una voce di spesa.
Quando l’utopia – anche la più necessaria, sia inteso e ribadito – si scontra con la realtà non succede niente di buono. Soprattutto se si va davanti agli elettori a parlare di formule difficilmente comprensibili, mischiando reddito disponibile e imponibile, e soprattutto con la speranza assurda, tale da far chiedere davvero di cosa si stia parlando, che non tutti quelli che potrebbero chiedere il sussidio a iniziativa approvata lo facciano. È giusto che i ricchi paghino più degli altri? Certo, e già lo fanno. Si creerebbero problemi di concorrenza fiscale a chiamarli ulteriormente alla cassa? Ampio dibattito: c’è chi dice sì, chi dice no. Ma si sfugge dal punto fondamentale, sottolineato dal capogruppo del Centro Maurizio Agustoni: da questa iniziativa guadagnerà il 60% della popolazione, mentre per il 40% di guadagni non ce ne saranno, a livello di premi. E di questa fascia di persone che pagano le imposte la quota parte dei “ricconi” è statisticamente parecchio minoritaria.
La questione non è solo concettuale. La sinistra ha ragione a denunciare il problema: è vissuto, e sentito. Ha altrettanto ragione nel dire che così non si può andare avanti. Ma il discorso, al netto di quanto sarebbe bello che il mondo fosse un posto più semplice, resterà sempre monco se non si agirà parallelamente sulla ragione dell’aumento dei premi: l’esplosione del consumo di prestazioni e dell’offerta sanitaria. E difficilmente questo problema troverà soluzione se si parlerà sempre e solo di sussidi e aumenti di imposta. Se il termometro segna 39, il problema non è nel termometro.