Risulta evidente la volontà dell’esecutivo di prendere tempo, e nel mentre continuare a fare i compitini da bravo contabile come se nulla fosse successo
Parliamoci chiaro: il preventivo dello Stato, federale o cantonale che sia, è il documento più politico che un governo possa esprimere. Nel modello consociativo, ciò che viene illustrato dalle cifre è la sintesi tra le varie sensibilità presenti in Consiglio di Stato. Cifre che – come ha giustamente affermato il presidente Norman Gobbi in conferenza stampa – «non bastano a raccontare la realtà». Certo che no: l’artificioso preventivo, presentato ieri alle Orsoline, ciò che sì racconta in maniera inequivocabile è l’imbarazzante lontananza del governo rispetto alla realtà che lo circonda. In queste ore il Consiglio di Stato ha le sembianze di un pugile aggrappato alle corde che cerca di evitare il knock-out, incapace di riprendersi dal pugno devastante arrivatogli in faccia domenica scorsa.
Risulta evidente la volontà dell’esecutivo di prendere tempo, e nel mentre continuare a fare i compitini da bravo contabile come se nulla fosse successo, nella speranza che qualche altra emergenza riesca a deviare l’attenzione dell’opinione pubblica, e in particolare quella degli iniziativisti vincitori alle urne il 28 settembre. Ma la strategia, tanto irresponsabile quanto autolesionista, non può portare lontano. Perché qualcosa invece è accaduto: i cittadini hanno detto “così non ce la facciamo più”. Non staremo qui a ripetere i concetti magistralmente espressi (sull’edizione del 1° ottobre) dagli economisti Marazzi, Greppi e Rossi, ma ci si permetta di suggerire al governo in corpore di leggere l’intera pagina con attenzione.
Il comun denominatore dell’anacronistico Preventivo 2026 riguarda «gli sforzi per contenere il disavanzo in modo da rispettare il vincolo di bilancio (che vista la situazione potrebbe essere opportuno sospendere, ndr) presente nella Costituzione». Sarebbe fattibile iniziare a disquisire sulle modalità arcinote di proiezioni volutamente pessimiste a priori, per poi arrivare a un consuntivo notevolmente migliore (come nel 2025, che chiuderà in zona pareggio); oppure sull’annunciata mossa di non riconoscere l’adeguamento al rincaro delle soglie Laps ai sensi della Ripam; per non parlare del «bruttissimo segnale», evidenziato dall’onorevole Zali riferendosi al taglio sugli investimenti previsto per il prossimo quadriennio. Ma per come stanno le cose avrebbe poco senso: circa il 60% dell’elettorato ha urlato in faccia alla politica che l’unico vero deficit al quale va data la più assoluta priorità è quello sociale, legato all’inarrestabile erosione del potere d’acquisto dei cittadini.
Sintomatica appare la citazione scelta dal presidente del Consiglio di Stato in apertura del suo intervento – avremmo preferito Shakespeare, ma va bene così –: “Governare significa prevedere; non prevedere nulla significa andare incontro alla rovina” (Émile de Girardin, ‘La politique universelle’, 1852). Viene da pensare che parlasse soprattutto al collegio che presiede: un governo esausto, privo di idee e di spessore, incapace di mettersi in discussione, che tergiversa in attesa che una qualche campana (ma il 2027 è così lontano…) lo salvi dal k.o.
Fatto sta che in assenza di un gesto – tuttora possibile – che rispecchi un minimo di dignità e coraggio da parte dei cinque, dopo il voto che ha sonoramente bocciato la loro gestione, ci tocca ricordare che stando all’articolo 44 della Costituzione cantonale basterebbe l’adesione di circa un quarto degli elettori che domenica scorsa hanno votato “doppio sì” per avviare il processo di revoca del Consiglio di Stato.