Chiuso il cammino europeo, in cui ha fatto il pieno di fiducia e applausi, ora la Federazione svizzera non deve smettere d’investire nel settore femminile
Lacrime di commozione, delusione. Gioia sconfinata e, infine, dispiacere frammisto a soddisfazione. Il cammino europeo della Nazionale si è chiuso allo stadio dei quarti di finale, ma tutte (e ventitré) le giocatrici chiamate a difendere i colori rossocrociati possono essere orgogliose. Fra le migliori otto squadre del continente. Questo dovrebbe bastare a quantificare l’impresa raggiunta dalla nostra selezione. Non significa essere appagati del minimo sindacale, piuttosto consapevoli di aver da poco imboccato una strada che altri Paesi hanno già percorso a metà. Un successo non soltanto in termini di risultati, ma pure di emozioni. Il salmo cantato a squarciagola da più di 30mila spettatori a Basilea, dove la storia della selezione femminile ha ufficialmente avuto inizio più di cinquant’anni or sono. Un autogol maledetto e la forza di rialzarsi grazie a una marea rossa. Quelle magliette inizialmente ornate di nomi di calciatori e trasformatesi nel corso del torneo in Reuteler, Peng o Xhemaili. Un altro successo, sicché fino a qualche anno fa le ‘camisetas’ delle giocatrici erano irreperibili anche in commercio. Piccoli mattoncini che sono riusciti a cambiare la percezione del calcio femminile in Svizzera. Da mere nullità, poco meritevoli di considerazione, a calcare grandi palcoscenici sostenute da una folla che nessuno avrebbe mai neppure osato immaginare. Le partite della fase a gironi erano sold out da settimane, sì, ma il trasporto è stato ben oltre le più rosee aspettative.
I commenti sprezzanti hanno lasciato spazio a encomi. Tribune, piazze. I tifosi sono rimasti colpiti dalla qualità mostrata dalle giocatrici e, soprattutto, dal cuore messo in campo. Hanno sudato insieme, cercando di onorare la maglia e realizzare i propri sogni. Come in qualsiasi aspetto della vita, le voci discordanti (seppur viepiù fuori dal coro) continueranno a esistere. Non tutto il Paese ha infatti cambiato parere, anzi. I profili social delle rossocrociate, come quello della Federazione, sono inondati da postille che rimarcano la normalissima sconfitta rimediata dalla U15 dell’Fc Lucerna. Una notizia che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro a sproposito. Le premesse non erano delle migliori. Che fosse una Nations League deludente, la condizione atletica o la scelta di Pia Sundhage di convocare solo cinque difensori, le polemiche hanno scandito le settimane antecedenti alla rassegna. La scandinava ha però trovato il modo d’incastrare ogni pezzo del puzzle, inculcando nelle giocatrici una sana fiducia in loro stesse. Non dovevano camminare in punta di piedi, ma credere nelle loro potenzialità.
Una mentalità di ferro, riscontrata pure in Livia Peng: capace di spodestare proprio sul filo di lana Elvira Herzog, che ha comunque accettato il suo ruolo di riserva, la 23enne ha messo a tacere una volta per tutte le discussioni sulla posizione di numero uno fornendo prestazioni di grande spessore. Ha fatto tesoro dell’errore commesso nella partita inaugurale, parando addirittura un rigore a una duplice Pallone d’Oro. Un plauso è sicuramente da riservare a Nadine Angerer, campionessa tedesca e ora nostra preparatrice dei portieri. A mettersi particolarmente in luce nel corso di questa rassegna è stata inoltre Géraldine Reuteler. Ormai pedina imprescindibile dell’Eintracht Francoforte, la nidvaldese (miglior giocatrice in tutte le partite della fase a gironi) può vantare un repertorio completo. Conclusioni, finte, ripiegamenti difensivi e passaggi filtranti. Nel suo futuro, chissà, magari ci sarà una maglia di un club ancor più importante. Buono anche l’apporto della panchina grazie ad esempio a Riola Xhemaili e Alayah Pilgrim, che hanno sempre cercato di scompaginare le carte. Un accenno è da riservare inoltre alla chiacchierata, e non solo in modo positivo, Alisha Lehmann. Nonostante il suo rendimento piuttosto altalenante, specialmente in bianconero, fin dall’amichevole ha mostrato di sposare appieno la causa smentendo tutti nel ruolo di terzina. Forse non sarà tecnicamente la migliore, ma l’atteggiamento è stato propositivo.
Grande merito di questa unità d’intenti è sicuramente da ricondurre a capitan Lia Wälti: a mezzo servizio, si è confermata una pedina imprescindibile nello scacchiere rossocrociato. Calma e matura, organizza il gioco a suo piacimento e permette a ogni compagna (pure le riserve) di sentirsi parte del gruppo. È il cuore pulsante di questa Nazionale, beniamina delle più giovani. Una leader fatta e finita, sul campo e non. Nel corso di questa rassegna è stata la più osannata, come sabato a Berna in occasione dei ringraziamenti finali. Lei, però, ha di nuovo ribadito l’importanza di ogni singolo componente di rosa e staff. Un’altra senatrice risponde al nome di Ana-Maria Crnogorcevic. Non in perfette condizioni, ma di grande sostanza. La 34enne non ha mai smesso di sostenere le più... piccine, dispensando parole di conforto. Nel secondo match della fase a gironi – in procinto di entrare in campo – ha perfino stretto a sé Leila Wandeler, emozionata di bagnare il suo esordio continentale. Comparsa sulla lista delle convocate da totale sconosciuta, la romanda ha confermato di essere munita di grande qualità e personalità. In generale, però, tutte le giovani hanno mostrato spensieratezza e vitalità. Come ogni buon alpinista che intende scalare le cime più alte sono necessari anni di preparazione. La Federazione ha iniziato relativamente da poco a credere, e investire, nel calcio femminile creando una sezione apposita e un centro formativo a Bienne. E, ora, comincia lentamente a raccogliere i frutti di quanto seminato nelle ultime stagioni. La Svizzera è infatti una nazione in grado di esportare calciatrici. Tralasciata la pepita d’oro Sydney Schertenleib, durante la rassegna è spiccata Iman Beney. La prima elvetica, e siamo nel 2025, a militare nel Manchester City.
Nel corso di questo Europeo la Nazionale ha dunque scritto il capitolo numero uno di una storia che promette di essere lunga grazie proprio a questa nuova generazione di talenti. L’entusiasmo è aumentato, con una base di tifosi viepiù in espansione. C’è tuttavia stato il riconoscimento definitivo? Tutti sperano che questa euforia possa durare a lungo nel tempo. Le rossocrociate, seppur retrocesse nella Lega B della Nations League, hanno ancora bisogno di sostegno per cercare di staccare il biglietto per la prossima edizione dei Mondiali che si terrà in Brasile. Un percorso che si preannuncia lungo e difficoltoso, soprattutto considerata l’incertezza sul futuro di Sundhage (in scadenza di contratto). La scandinava ha confermato di conoscere approfonditamente il calcio e le qualità delle sue giocatrici, che non smette di lodare, spostando alcune di loro in posizioni che nemmeno credevano di avere nelle corde. Può sembrare autoritaria, soprattutto ripensando a qualche risposta lapidaria in conferenza stampa, ma è capace anche di scherzare come successo nel weekend quando ha intonato ‘If Not For You’ di Bob Dylan ringraziando i tifosi. Nella fase a gironi sembrava inoltre munita di bacchetta magica, trasformando la squadra in corso d’opera. Una selezionatrice che non ha paura delle critiche, d’altronde ha dovuto ‘addomesticare’ una certa Hope Solo, capace di allestire una rosa unita e in grado di muovere le montagne. A novembre la Svizzera tornerà di nuovo in campo, due le amichevoli programmate, prima di concentrarsi sulle qualificazioni nel mese di febbraio. Rimarrà in panchina? Prematuro dirlo, ma sicuramente le rossocrociate dovranno cercare di essere più efficienti nel terzo e migliorare nell’ultimo passaggio.