Sbarcato a Herning a Mondiale in corso, Fiala racconta dei suoi esordi in Svezia e dello spirito che regna all'interno dello spogliatoio elvetico
Corsi e ricorsi della storia. Un anno fa, a Praga, Kevin Fiala si era unito alla truppa agli ordini di Patrick Fischer in extremis, prendendola poi per mano fino a condurla alla conquista della medaglia d’argento iridata. Un anno dopo, il 28enne attaccante sangallese dei Los Angeles Kings si è aggregato al resto del gruppo cammin facendo. Ma con il medesimo spirito, e con la stessa volontà di dare il suo apporto per portarlo il più lontano possibile. Quando la Nazionale chiama lui risponde sempre presente. «La chiamata della Nazionale la vivo come un onore ma anche un impegno. Verso chi ha creduto in me selezionandomi, e verso i tifosi, che sono sempre fantastici. Ci seguono ovunque, e non mancano di farci sentire il loro sostegno. Anche qui a Herning. E questo mi spinge a dare sempre il massimo quando vesto la maglia rossocrociata».
Non ancora diciottenne, prima di sbarcare dall’altra parte dell’Atlantico, Kevin Fiala si è fatto le ossa in quella Svezia dove prima di lui erano già sbarcati i vari Marcel Jenni e Martin, accogliendo poi Lian Bichsel e Dominik Egli. E cosa hai imparato nel nord dell’Europa? «In Svezia ho imparato parecchio: lì c’è una cultura diversa dell’hockey, e ognuno dà il 100% e oltre. Ci si sprona l’altro a fare quel passo in più, cosa che invece, ai ‘miei tempi’ non era scontata in Svizzera, da dove manco ormai da qualche anno: spero che adesso anche da noi siano cambiate queste cose… In estate mi alleno con gli Zsc Lions, e lì effettivamente in questi ultimi anni ci sono stati parecchi cambiamenti e il livello generale è cresciuto. La Svezia, poi, è stata un’importante scuola anche fuori dal ghiaccio, sul piano umano».
Tornando agli Zsc Lions, scorrendo il roster della Nazionale si contano ben dieci Leoni… «Lo Zurigo è un club molto ben strutturato. È una società che ho conosciuto dall’interno, avendoci giocato da giovanissimo. E già allora ero rimasto impressionato dall’organizzazione che regna all’interno del club. Che ora può anche contare su un nuovo stadio, tutto ‘suo’. Sven (Leuenberger) e il suo staff stanno facendo un ottimo lavoro, e con lui l’intera organizzazione: non stupisce più di tanto se in queste ultime due stagioni hanno vinto due titoli e una Champions League…».
Appena sbarcato a Herning, Fiala non ha impiegato molto a prendere le misure delle piste più larghe, trovando anzi subito il modo di andare a punti: «In Nhl possiamo tirare da quasi ogni posizione, e dunque puoi essere pericoloso in ogni settore. Sulle piste più grandi, per contro, devi essere più creativo. Devi inventarti qualcosa per riuscire a creare un’opportunita per segnare. D’altro canto c’è però anche più spazio per poterlo fare. In powerplay, poi, hai più tempo per imbastire l’azione, e questo mi piace. Ad ogni modo personalmente mi trovo bene sia su un tipo di piste sia sull’altro».
La prossima sarà anche una stagione olimpica: una motivazione in più? «Sarebbero i miei primi Giochi e ovviamente non vedo l’ora di potervi partecipare, anche se è una scadenza ancora lontana nel tempo, e prima di essa possono ancora subentrare imprevisti o infortuni… E, poi, ora come ora dobbiamo pensare solo a una cosa: questo Mondiale!».
Se dovessi scegliere una maglia da indossare, quale sceglieresti tra quelle di Ambühl, Jagr (per le tue origini) o dei Kings? «Non avrei dubbi a scegliere quella di Büheli: ciò che ha fatto lui non l’ha fatto nessun altro per l’hockey svizzero. È una leggenda, un compagno, un amico… Il fatto che ancora una volta sia parte del gruppo significa molto: è un leader, la cui carriera ha dell’incredibile. Si può solo parlare bene di Andres».
In Svezia, a ogni buon conto, non è però sbocciato unicamente il tuo talento… «Cosa? Ah, già… L’amore della mia vita (sorride). È lì che ho conosciuto la donna che ora è mia moglie. Ci siamo incontrati undici anni fa, a scuola. Già, in Svezia sono successe davvero molte cose».