Perché in fondo la montagna lo è, femmina, e allora, in ordine sparso, ecco sei autrici e altrettante opere nelle quali scoprirla

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Le montagne portano con sé un non so che di misterioso: sarà perché sono lì dove sono da sempre e per sempre lì resteranno, facendoci sentire piccoli e inadeguati verso una natura che non ci appartiene.
Un segreto inviolabile, di cui si può solo sentire l’odore, andando per sentieri (laddove esistono); percepire l’atavica forza, quasi spaventosa e mai veramente decifrabile. Sensazioni e sentimenti che, nel corso della storia, la letteratura si è provata a tradurre in parole. Ecco allora una carrellata di sei autrici, e altrettanti libri, che hanno provato a coglierne (e restituirne) l’essenza.
Sono solide, massicce, presenze sicure che paiono a volte certezze indissolubili. Sono tanto forti che tentano l’uomo alla sfida, e allora ci si arrampica, le si domina, ci si passa attraverso. Si scalano le vette, si discendono i torrenti, si percorrono i pendii a perdifiato in gare contro la propria finita umanità. La montagna è sempre lì. Cambia il tempo, le stagioni, mutiamo noi, e come una canzone - o un quadro - la montagna avrà fatto da sfondo, da specchio, da culla al nostro vissuto. Sempre solida e quasi immutabile.
Ci sono cresciuta tra le montagne, ho la cima del cuore e un massiccio che detesto, amo il candore della neve vergine, i fiori di maggio, i pini alpini, il velluto verde. I suoi colori, i suoi odori. Mi fa anche paura perché come un gigante di pietra può decidere di muoversi, correre, crollare e saltare. E allora l’estasi panica finisce e arriva il terrore. Che arroganza quella di noi piccoli umani, che ci agitiamo intorno a questa natura enorme e potente credendo di poterla sovrastare.
Ho iniziato a ricercare nelle sue facce parti di me, specchi di stati d’animo, conferme esistenziali. La fantasia gioca brutti scherzi, però almeno ti mantiene lì coi piedi per terra a valle, a guardar su e immaginare. Senza brama di sormontare. E così anche la lettura, sul monte e del monte, mi ha sempre dato parte di quella soddisfazione, di quel piacevole godimento di conquista, anche da sotto un abete o in riva a un laghetto alpino, accanto a una fattoria o su una seggiovia. E di questa contemplazione e sensibile appropriazione, voglio raccontarne dal punto di vista femminile, perché in fondo la montagna lo è, femmina, e quindi perché non darne lettura alternativa al canone a cui siamo abituati? In ordine sparso ecco quindi sei opere, nelle quali scoprire altrettante cime, personalità e scritture.
Annemarie Schwarzenbach - Fuga verso l’alto
(1933, Il Saggiatore)
Bianchi pendii e cime frastagliate, laghi di neve e spazio infinito. Trasgressione, sensualità, sete di vita. Tra le pagine di questo libro assaporiamo la vertigine delle discese a perdifiato di Francis von Ruthern, che ha scelto l’ebbrezza della montagna come fuga dalla realtà. Il candido manto che lo avvolge di giorno, la perdizione che lo seduce la notte, gli hotel di lusso, le donne vestite solo di una triste bellezza, il silenzio ovattato della neve e il tempo sospeso di giornate identiche l’una all’altra, sono tutti gli ingredienti necessari per il suo rifugio ideale. Mentre giù a valle la famiglia aristocratica scompare, e con questa la stessa identità di Francis - evidente alter ego della Schwarzenbach, e la Storia a grandi passi minaccia il mondo, lui trova qui la possibilità di una sospensione senza fine.
Francesca Melandri - Eva dorme
(2010, Bompiani)
Anche qui la montagna si ricollega alla Storia, ma il suo percorrerla è riavvolgere un nastro e ricordare, rispecchiarsi e rivivere. Eva dorme mentre sua madre riceve un pacchetto per lei e lo rispedisce al mittente, decidendo del suo destino. Questa è una saga familiare e un romanzo storico, bestseller vincitore di numerosi premi, opera d’esordio dell’autrice. I capitoli sono scanditi tra numero di chilometri e anni, e la protagonista, inutile dirlo un’Eva insonne, ripercorre un amore guardando srotolarsi la montagna fuori dalla finestra di un treno. La questione altoatesina è filo conduttore del romanzo, le vicende che hanno avuto luogo nel Sud Tirolo nel corso del Novecento sono ricostruite grazie a ricerche approfondite, intrecciando i principali eventi storici con le storie dei suoi personaggi, e la montagna che li sovrasta.
Antonia Pozzi - Poesie
(2021, Garzanti)
Tra il 1925 e il 1937 Antonia Pozzi trascorre le vacanze a Pasturo, ai piedi della Grigna Settentrionale. Qui la sua immersione nel mondo selvatico è viscerale, il rapporto delle sue parole con la montagna sembra percorrere le vie di ruscelli alpini, ora tortuosi ora dolci. Come la natura, come la montagna, la poetessa non fa sconti e non abbellisce inutilmente, ma vibra di vita e di potenza, di follia e coscienza. Son poesie da leggere d’un fiato e poi fermarsi, tornare, rileggere lentamente. Una tensione che fa vibrare l’anima e scorgere in quei fiori abbarbicati brandelli di vita. Meglio delle mie, le sue parole in Acqua alpina: Gioia di cantare come te, torrente;/ gioia di ridere/ sentendo nella bocca i denti/ bianchi come il tuo greto;/ Gioia d’esser nata/ soltanto in un mattino di sole/ tra le viole/ di un pascolo;/ d’aver scordato la notte/ ed il morso dei ghiacci. (Pasturo, 1933)
Fanny Desarzens - Galel
(Premio svizzero di letteratura 2023, Gabriele Capelli)
Ogni estate l’amicizia di tre uomini si rinnova in altezza alla ‘baita’. Sono momenti preziosi e rari, in cui la reciproca presenza basta, senza parlare, insieme alla montagna. Galel, uno dei tre, una guida alpina, un giorno però si fa male: questo limita il suo accesso alle amate cime e modifica anche l’equilibrio tra gli amici. Galel è un romanzo contemplativo, che fa appello a una scrittura organica e minerale, per descrivere la montagna e l’atto del camminare. C’è molto Ramuz, ma anche l’esperienza di Desarzens, unita a una sua poetica personale. Siamo immersi, nella lettura, in montagne immaginarie dai nomi simbolici, conquistiamo le vette, attraversiamo le vallate, guadiamo i ruscelli e sentiamo le pietre scricchiolare sotto i nostri passi, accompagnati dall’autrice, che, con uno sguardo quasi cinematografico, ci porta alla scoperta di un mondo di silenzi, forze e condivisione.
Yasmina Reza - La traversée de l’hiver
(1989)
Je n’ai jamais douté que ma vie était ailleurs. Quell’altrove cui fa riferimento uno dei sei personaggi della pièce di Yasmina Reza è forse il lussuoso hotel di montagna dove si trovano a passare l’estate, o forse un mondo esotico lontano dalla realtà. Ancora una volta le passeggiate, l’immobilità dei massi e la ripetizione di giornate un po’ irrequiete e un po’ lascive traducono la fuga e la sospensione ricercate dai personaggi, che in questo dramma dal vago sapore cecoviano, il secondo dell’autrice, parlano spesso a vuoto e sembrano sempre in attesa di qualcosa che non arriva. Scopriamo che camminare in due su un sentiero in cresta è impossibile, qualcuno ci segue o qualcuno ci guida, ma nessuno ci accompagna. Insomma tutti inseguono tutti e non c’è chi si acchiappa, tra i villeggianti, finché ecco che nello smarrimento generale arriva l’inverno. E la montagna, lei, se ne sta per tutto lo spettacolo impassibile, lì a guardare senza mai giudicare.
Linda Cottino - Una parete tutta per sé
(2024, Bottega errante edizioni)
Linda Cottino raccoglie le storie di quelle alpiniste che hanno sfidato non solo le montagne, ma anche i limiti imposti dal loro tempo e dalla società. Il titolo, che richiama quella necessaria stanza per Virginia Woolf, suggerisce l’urgenza di uno spazio fisico e simbolico, in cui le donne possano affermare la propria libertà. La montagna è qui teatro di emancipazione e affermazione: luogo in cui misurarsi con la fatica, la paura, il rischio, ma anche con una felicità profonda e una forza ritrovata. Cottino alterna il racconto biografico alla riflessione storica e culturale, dando voce a pioniere spesso dimenticate come Meta Brevoort, prima grande esploratrice e pioniera sulla Meije, e Marie Paillon, prima intellettuale della montagna a far cordata al femminile. Un libro che dà voce a sette alpiniste di cui non si sa nulla, legate alla nascita del Ladies’ Alpine Club a inizio secolo scorso, e alla loro potente dichiarazione d’indipendenza.
